Un milione di fedeli a Roma per la beatificazione di “Karol il Grande”

“Santo subito”: la richiesta della  moltitudine di persone, che accorse da tutto il mondo a Roma per rendere l’ultimo saluto a Giovanni Paolo II nel giorno del suo transito alla Casa del Padre, oggi viene con gioia in massima parte esaudita. Infatti la beatificazione di “Karol il Grande” ( titolo di un libro scritto alcuni anni fa da Domenico Del Rio) è un passo fondamentale per giungere, poi, alla canonizzazione, che ci si augura avvenga in tempi altrettanto rapidi. Perché i popoli del mondo lo hanno indicato immediatamente come un modello di santità? Perché questa acclamazione dal basso? Perché sono giunti nella “Città eterna” circa un milione di fedeli per assistere alla solenne celebrazione in cui il “Pellegrino del mondo” viene proclamato beato? La risposta a queste domande non è difficile, se si considera la ricchezza e la “densità” del suo papato, in termini pastorali, spirituali e di importanti eventi storici accaduti su suo forte impulso, come la caduta del muro di Berlino. Dopo l’elezione al soglio pontificio, la “Tass”, l’allora agenzia di stampa sovietica, lo definì sprezzantemente “un papa sovversivo”. E’ da sottoscrivere senza battere ciglio tale definizione, visti, grazie a Dio, i sovvertimenti da lui determinati. Come pure, è senz’altro condivisibile la motivazione con la quale il settimanale “Time” lo elesse nel 1994 “Uomo dell’anno”: “Le sue idee sono molto diverse da quelle della maggior parte dei mortali. Sono più grandi”. C’ è una spiegazione, ci si domanda, al fatto sorprendente che Egli sia riuscito a farsi amare e stimare da tutti, a prescindere dai propri orientamenti culturali, dalle personali convinzioni religiose e dal ceto sociale di appartenenza?

La risposta è affermativa e va individuata nella sua capacità di compenetrazione nei problemi e nei drammi della gente, avendoli vissuti sulla sua pelle fin da piccolo: perse la madre in tenera età; sperimentò il peso della dittatura comunista  e, quindi, la mancanza di libertà; soffrì i morsi dell’indigenza; per mantenersi agli studi, lavorò come operaio alla Solvay. Riferendosi, in particolare, a questa esperienza giovanile, dichiarò che essa giovò alla sua vita più del dottorato in teologia. Per tale motivo, le encicliche e i discorsi sui temi del lavoro, della pace, dei diritti umani, in particolare quelli dei poveri, sono di altissimo profilo sociale ed etico.

 

Attraverso gesti familiari di vera amicizia, esprimenti sincero affetto, concreta vicinanza, umana solidarietà,  ha reso vivo e presente, con i suoi instancabili viaggi, l’amore di Dio nel mondo. Ha sempre colpito la sua autenticità, lo sforzo che ha fatto per stare con la gente, per ascoltare quello che gli dicevano e l’impegno profuso nel difendere le alte idealità e i valori universali. Soprattutto, ha aperto il cuore degli uomini alla speranza cristiana, orientando l’avventura umana del vivere verso quell’Oltre che a tutto dà senso, anche al dolore, anche ai pesi gravosi, talvolta molto difficili da sostenere. E’ uno dei pochi uomini della Storia ad aver scorto  negli occhi e nel cuore della donna la sua enorme ricchezza, facendo prendere coscienza del “genio femminile” ( evidenziato nell’enciclica “Mulieris dignitatem”) e del prezioso contributo che ella potrebbe offrire anche in seno alla Chiesa, pur senza ricorrere al sacerdozio femminile. Ha amato di un amore teneramente e intensamente paterno i giovani (“Voi siete la speranza della Chiesa. Voi siete la mia speranza!”), senza, però, blandirli, indicando loro, al contrario, nelle Giornate Mondiali della Gioventù da lui ideate, il radicalismo del Vangelo, impegnativo, certo,  ma affascinante e nobile, l’unico capace di soddisfare la loro ricerca di una vita colma di significati alti.

 

Il pontificato di Giovanni Paolo II è stato segnato da gesti  profetici, con i quali ha mostrato di accogliere e di seguire le innovative indicazioni conciliari: aprì la porta santa dell’anno giubilare con a fianco i rappresentanti delle Chiese ortodosse e anglicane, dichiarandosi disponibile, nell’enciclica “Ut unum sint”, a rivedere l’esercizio del suo ministero per renderlo più conforme all’intenzione originaria di Gesù, e chiedendo perdono per i peccati commessi dalla Chiesa nel passato. E’ stato il primo Papa a entrare in una sinagoga (“Gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori”) e in una moschea. Particolarmente emozionante la sosta davanti al muro del pianto, a Gerusalemme. Fu il promotore del raduno ad Assisi, per la prima volta in 2000 anni di Cristianesimo, dei rappresentanti delle chiese cristiane e delle altre religioni, dove si pregò per la pace e si dialogò a cuore aperto per cercare insieme ciò che unisce, nel reciproco sforzo di valorizzare le altrui tradizioni religiose. Ha denunciato con vigore le storture dell’ideologia comunista e di quella capitalistica, sollecitando i governanti delle nazioni a ripudiare la guerra , “avventura umana senza ritorno”. Anche il mostrarsi debole e malato è stata una scelta profetica, testimoniando con coraggio al mondo, soprattutto ai giovani, condizionati dagli orpelli esteriori, il paradosso evangelico: “Quando sono debole, è allora che sono forte”: forte, pur nel declino fisico, della sua indomita fede, della sua incrollabile speranza; forte, sebbene curvo sotto il peso della sofferenza, del suo affidarsi a Maria, a cui era particolarmente devoto. Ne è testimonianza il motto da lui scelto: “Totus tuus”. Nella enciclica “Novo millennio ineunte” è contenuto il testamento lasciatoci dal “Parroco del mondo”: la via che ci esorta a percorrere è quella della comunione, dell’incontro con l’altro, della fraternità universale, secondo il comandamento d’amore di Gesù. E’ la fraternità, infatti, a dare sostanza all’uguaglianza e a permettere il pieno esercizio della libertà. La preghiera, allora, da rivolgere al Beato Giovanni Paolo II è che ci aiuti a non lasciarci scoraggiare dal male, dandoci la forza necessaria per essere ciascuno di noi un dono per gli altri, iniziando nelle  nostre famiglie.

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