C’è un moto di poesia nel richiamo di un passato indimenticato. È una voce che arriva da lontano, sussurrata dal tempo, evocata dalla memoria collettiva di un popolo che ama visceralmente la propria squadra. È quella stessa voce che oggi ha riportato Walter Mazzarri sulla panchina del Napoli, dieci anni dopo il suo addio.
“Bentornato Walter“, ha scritto Aurelio De Laurentiis sui social, con la delicatezza – quasi l’emozione – di chi accoglie non solo un allenatore, ma un ricordo vivo. E la città ha risposto: con stupore, con calore, con quella tipica miscela di passione e scetticismo che solo Napoli sa offrire.
Il ritorno di Mazzarri ha il sapore di un abbraccio sospeso tra passato e presente. Non è soltanto il richiamo del noto, della figura familiare: è la nostalgia per un’epoca in cui il Napoli non era ancora campione, ma sapeva far battere i cuori. Era la squadra dell’assalto all’Europa, dei gol di Cavani, dei duelli epici contro il Chelsea, della Coppa Italia 2012 vinta contro la Juventus. Era una squadra affamata, coraggiosa, sempre con il coltello tra i denti. Era, in fondo, il primo Napoli “moderno”, e Mazzarri ne era l’artefice inquieto e carismatico.
Ma se è vero che il tempo può essere balsamo, è altrettanto vero che può diventare trappola. Perché il Mazzarri di oggi non è più quello di ieri. E il Napoli, a sua volta, è una squadra profondamente diversa: più forte, più esigente, ma anche più fragile nel suo status di Campione d’Italia in carica.
L’esonero di Rudi Garcia, avvenuto dopo un avvio di stagione claudicante, ha lasciato il Napoli in una terra di mezzo: quarto in classifica, con la Champions ancora in bilico e un gioco lontano da quello sfavillante di Spalletti. In questo contesto, la scelta di Mazzarri – nome mai realmente uscito dai radar del presidente – suona come un gesto di rifugio. Una scommessa non sul futuro, ma sulla memoria.
Il contratto firmato è breve, essenziale: sette mesi, fino a giugno 2024. Nessuna clausola per il prolungamento, nessun progetto dichiarato. Un “traghettatore”, non un architetto. Un compito chiaro, ma gravoso: tenere a galla la nave, ritrovare la compattezza, restituire al Napoli un’identità smarrita.
E proprio qui sorge il dubbio. Non tanto sull’uomo – che resta competente, esperto, motivato – quanto sulla visione. Napoli è una città che ama con il cuore, ma che ora guarda con gli occhi. Il ritorno di Mazzarri ha acceso l’anima romantica del tifo, ma lascia un retrogusto amaro a chi cerca soluzioni innovative, idee nuove, progettualità a lungo termine.
Mazzarri eredita una squadra piena di talento, ma in confusione. Eppure, in fondo, questo Napoli ha ancora un’anima guerriera. Forse Mazzarri è l’uomo giusto per risvegliarla. Non con la poesia del gioco spallettiano, ma con la concretezza delle battaglie vinte per fame, per orgoglio, per spirito di sacrificio.
Il campo, come sempre, sarà il giudice finale. I tifosi sognano, ma sanno anche attendere. Lo faranno con gli occhi rivolti a un passato glorioso, ma con la mente proiettata a un presente che chiede risposte, non ricordi.
Il ritorno di Mazzarri è una favola, sì. Ma ora serve il lieto fine. Ci sarà?