La storia di Fabio: una lotta ai pregiudizi

Fabio ha 26 anni, la faccia da bravo ragazzo, qualche chilo di troppo.
Mi guarda con serietà per tutto il tempo dell’intervista e dopo un po’ mi accorgo di qualcosa: forse non se ne rende conto, ma, involontariamente, sorride solo quando usa i verbi al tempo presente.
Fabio è un transessuale FtM: biologicamente è nato donna, ma è sempre stato uomo: mi racconta la sua vita parlando di sé sempre al maschile, anche quando fa riferimento alla sua infanzia.

Prima aveva un altro nome, un nome femminile che non scrivo: mi sembra superfluo scrivere un nome che non è mai stato riempito da nessuno, perché chi ho davanti è sempre stato solamente Fabio.
E mi sembra opportuno partire dalla domanda che ha chiuso quest’intervista, quella con cui gli ho chiesto se, nella sua vita, sente di aver avuto o meno scelta.
“Sì, ho potuto scegliere se vivere o morire. E ho scelto di vivere”

Sei sempre stato consapevole di essere un ragazzo?
Lo sai, ma non vorresti saperlo. Hai la percezione che qualcosa non sia come debba essere.
Ripensandoci a posteriori, io non riuscivo a vedermi, proiettandomi al futuro, come una ragazza.
Mi piacevano le ragazze, ma non mi sentivo nemmeno una ragazza lesbica.
Poi accadde che mi innamorai e lasciai cadere ogni paura.
Mi dissi: o provo a essere chi sono, correndo il rischio di perdere tutto, o non lo faccio e vado incontro alla stessa cosa.
Fu il primo passo per poter cambiare la mia vita in meglio.

E la tua famiglia?
Non è mai facile per un genitore vivere una situazione del genere.
Ricordo che, a un carnevale, non avevo più di 5 anni, mi vestii da zorro ed ero felicissimo.
Nello sfogliare alcune foto di carnevale della mia infanzia, ho rivisto me stesso con vari vestiti: solo in quella in cui ero vestito da zorro avevo un sorriso smagliante sulla faccia.
Non ho mai trovato barriere né dei miei genitori né da parte delle mie tre sorelle. Anzi, mi hanno assecondato. Non mi hanno mai costretto a vivere in un modo che non volevo.

E come hai detto loro di sentirti un ragazzo?
Inizialmente, fu mia sorella più grande ad accorgersi che uscivo con una ragazza.
Ne parlammo. Lei ne parò alle altre mie sorelle e mi diedero una mano a iniziare il percorso psicologico.
Dopo un anno e mezzo dall’inizio del percorso psicologico presi mia madre da parte.
Ricordo che lei si stava vestendo per uscire. Nell’ascoltare le mie parole non smise di fare ciò che stava facendo: mi diede la sensazione che già lo sapesse, in fondo una madre cosa non sa.
Si informò subito sul mio percorso da seguire.
Poi fu la volta di mio padre.
Eravamo a tavola, guardavamo la tv: vi era un servizio sulle aggressioni gay e, dopo un commento di mio padre, non riuscii a trattenermi.
Pur non essendo io omosessuale, mi sentii molto coinvolto e reagii dicendogli “tu non puoi capire cosa si prova a nascondersi”.

Quali sono state le tappe mediche del tuo percorso di transizione?
Il 18 marzo del 2010 iniziai il percorso ormonale.
Gradualmente la voce si abbassò, la peluria si infittì.
Sentii il bisogno di non indossare più un reggiseno. Indossavo una canotta contenitiva.
Avendo ormai preso piena consapevolezza di chi ero, non riuscivo più in alcun modo ad accettare ciò che avevo ancora di femminile. Il seno mi sembrava un qualcosa di totalmente estraneo, il corpo non mi rappresentava.
Dall’inizio della cura ormonale presentai la domanda per l’autorizzazione agli interventi.
A dicembre del 2010 ottenni la sentenza.
L’isterectomia mi permise di togliere utero ed ovaie. Fui operato al Policlinico.
Nel Febbraio 2013 mi misi in lista d’attesa per la mastectomia (rimozione del seno). Mi dissero che c’era da aspettare, però, fino al settembre 2016.
Il dover aspettare tre anni e mezzo mi demoralizzò.
E’ vero, a volte, il tempo è necessario, eppure non riuscivo a sentirmi a mio agio.
E’ come piantare un seme e volerlo vedere, il giorno successivo, già germogliato.
Per fortuna, la lista d’attesa si sfoltì e, nell’agosto 2014, ho subito la mastectomia, togliendomi il seno.

Circa i dati anagrafici?
I dati che ho sulla carta d’identità sono al femminile.
Bisogna prima abolire l’apparato riproduttivo, poi presentare domanda al tribunale.
Attualmente vivo in un limbo, ma a breve dovrei avere risposte positive e ottenere il documento nuovo.

La reazione delle persone a cui dici di essere transessuale qual è?
Non ci credono, non se ne accorgono.
Se da un lato ciò mi lusinga, dall’altro può crearmi alcuni problemi.
Ad esempio allo stadio ho difficoltà d’accesso al tornello: ho un documento al femminile, con un abbonamento ridotto per donne (fatto nonostante le mie proteste per averne uno normale).
Spesso, all’ingresso subisco una vera e propria violenza quando mi fanno problemi d’accesso non riuscendo a capire il perché dell’abbonamento ridotto e non credendo alle mie parole, mettendomi in difficoltà davanti a file lunghissime La gente inizia a spogliarti con gli occhi e non è piacevole.

Tu ti definisci transessuale?
Sì, non rinnego il mio passato il mio percorso.

Se dovessi incontrare te stesso dieci anni fa, ti diresti di cambiare qualcosa?
Rimpiango di aver aspettato troppo per aver tutelato qualcun altro.
Avrei anticipato sicuramente i tempi.
Però ero piccolo, avevo paura di restare solo.

Ho visto che vai nelle scuole per campagne di sensibilizzazione…
Sì, sensibilizzo i ragazzi all’omofobia e transfobia.
Racconto la mia storia e dico ai ragazzi che una persona transessuale non è sempre da associare a lustrini e paillettes né alla prostituzione.
E’ bellissimo quando da un gruppo di adolescenti nasce spontaneamente un applauso. E’, per me, una vera vittoria.

Hai incontrato il Papa durante la sua visita a Napoli. Com’è andata?
Sì, sono stato presente a Scampia insieme alla delegazione Arcigay. Ho portato anche mia madre.
Sono cattolico, vado in chiesa. Lì cerco sempre di non farmi vedere e riconoscere: è brutto andare a prendere la comunione e temere di essere riconosciuto e allontanato dalla chiesa.
Mi spiace che ci siano stati molti attacchi in generale circa le delegazioni ricevute dal Papa: il punto è che le rivoluzioni sono sempre iniziate da chi ti si è sempre mostrato contro e anche quella che può sembrare un’apertura insufficiente è, in realtà, un gran passo avanti. Il Papa ha lavato i piedi a una ragazza transessuale, ha aperto le porte a tutti senza fare distinzioni e ritenendoci tutti figli di Dio. Se la chiesa è aperta a tutti, io sono parte di quel “tutti”.
Purtroppo, ciò che mi fa più violenza in questo momento non è la chiesa e nemmeno le persone. E’ lo Stato.

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