Io sono perché noi siamo: il dono di Nelson Mandela

Ubuntu è una parola africana. Il suo significato è complesso, ma semplificando si può tradurre come “amore verso gli altri”, slancio verso ciò che è diverso da noi stessi.

E’ una parola che, seppur possiamo tentare di accostare alla nostra idea di solidarietà, è estranea alla nostra cultura. E’ un’idea di comunità, di fratellanza, qualcosa che siamo ormai abituati ad associare a un concetto utopistico e astratto.

Eppure da questa parola è nato uno dei cambiamenti più importanti della storia contemporanea: ubuntu è alla base della battaglia che Nelson Mandela ha portato avanti contro l’apartheid, ossia la segregazione razziale che, fino al 1993, ha separato nettamente la vita dei bianchi e i neri in Sudafrica, facendo del colore della pelle un ingiusto marchio.

Nelson Mandela: novantacinque anni, di cui ventisette rinchiuso ingiustamente in carcere, passati nel desiderio e, poi, nella gioia del cambiamento. Ricevette il premio Nobel per la pace nel 1993, nel 1994 fu eletto Presidente del Sudafrica e ha esercitato questo ruolo fino al 1999, portando il suo Paese dall’apartheid alla democrazia. Dopo gli anni della presidenza, ha portato avanti numerose iniziative sociali, come quella contro la diffusione dell’AIDS. E’ morto il 5 dicembre, dopo una lunga malattia che l’ha incatenato per mesi a un letto e privato della possibilità di dire addio al mondo.

Tuttavia è stato il mondo a sapergli dire addio, martedì 10 dicembre, in una commemorazione cui hanno preso parte non solo i politici più influenti, tra cui Barack Obama e Enrico Letta, ma anche la gente comune, accalcata negli spalti dello stadio di Johannesburg: sotto la pioggia tra preghiere, canti, discorsi che lo hanno celebrato come un gigante della storia. L’uomo che ha saputo tenere tra le mani una vita che hanno tentato in ogni modo di sottrargli, di sgualcire come fosse un fiore già destinato ad appassire, non sapendo che lui non era nei petali, ma nel gambo che avrebbe sorretto tutti gli altri.

Ubuntu non è stato solo un sogno, ma il dono che un uomo ha saputo lasciarci. E’ stato l’addio che Mandela non ha potuto dire a parole, l’idea di essere se stessi perché si è parte dell’umanità: una e inscindibile, senza differenze.

Ubuntu è una parola africana. Il suo significato è complesso, ma semplificando si può tradurre come “amore verso gli altri”, slancio verso ciò che è diverso da noi stessi.

E’ una parola che, seppur possiamo tentare di accostare alla nostra idea di solidarietà, è estranea alla nostra cultura. E’ un’idea di comunità, di fratellanza, qualcosa che siamo ormai abituati ad associare a un concetto utopistico e astratto.

Eppure da questa parola è nato uno dei cambiamenti più importanti della storia contemporanea: ubuntu è alla base della battaglia che Nelson Mandela ha portato avanti contro l’apartheid, ossia la segregazione razziale che, fino al 1993, ha separato nettamente la vita dei bianchi e i neri in Sudafrica, facendo del colore della pelle un ingiusto marchio.

Nelson Mandela: novantacinque anni, di cui ventisette rinchiuso ingiustamente in carcere, passati nel desiderio e, poi, nella gioia del cambiamento. Ricevette il premio Nobel per la pace nel 1993, nel 1994 fu eletto Presidente del Sudafrica e ha esercitato questo ruolo fino al 1999, portando il suo Paese dall’apartheid alla democrazia. Dopo gli anni della presidenza, ha portato avanti numerose iniziative sociali, come quella contro la diffusione dell’AIDS. E’ morto il 5 dicembre, dopo una lunga malattia che l’ha incatenato per mesi a un letto e privato della possibilità di dire addio al mondo.

Tuttavia è stato il mondo a sapergli dire addio, martedì 10 dicembre, in una commemorazione cui hanno preso parte non solo i politici più influenti, tra cui Barack Obama e Enrico Letta, ma anche la gente comune, accalcata negli spalti dello stadio di Johannesburg: sotto la pioggia tra preghiere, canti, discorsi che lo hanno celebrato come un gigante della storia. L’uomo che ha saputo tenere tra le mani una vita che hanno tentato in ogni modo di sottrargli, di sgualcire come fosse un fiore già destinato ad appassire, non sapendo che lui non era nei petali, ma nel gambo che avrebbe sorretto tutti gli altri.

Ubuntu non è stato solo un sogno, ma il dono che un uomo ha saputo lasciarci. E’ stato l’addio che Mandela non ha potuto dire a parole, l’idea di essere se stessi perché si è parte dell’umanità: una e inscindibile, senza differenze.

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