Strage del rapido 904

 

Incontrai Mourinho in una sala stampa affollata. A una mia domanda mi chiede: “lei giornalista carta stampata, giornalista televisione?” Rispondo: “giornalista carta stampata” e lui dice: “può capitare che lei accendere computer e non uscire parole: zero”. Ripetendo zero tre o quattro volte.

 

 

Ha ragione: è lo stesso effetto che mi ha fatto dopo aver letto il libro di Giuliana Covella: zero. Ho messo il foglio nella mia vecchia Olivetti 22 e non uscivano parole: zero. I pensieri si ammonticchiavano nella mia testa ma non riuscivo a metterli in ordine e trascriverli per poi leggerli a voi.

So il perché: questa del 904 è una storia che ho vissuto. Avevo 23 e ricordo come se fosse oggi quella brutta tragedia. Ricordo e non so se tutti lo sapete che la mia e vostra Città è stata tra le più colpite: morirono 4 persone, una intera famiglia, due bambini su tre erano di Casoria. Ricordo il loro balcone a via Giolitti. Tutte le volte, escluso mai, che scendo in macchina o a piedi per via Tasso a Casoria, guardo quel palazzo e mi vengono in mente Nicola De Simone, Angela Calvanese, e i loro piccoli. Penso a tutte le volte che avranno preso il caffè nel bar sotto casa o fatta la spesa al MEC il supermercato di fronte casa loro.

Penso e ricordo quando ad Anna, la bambina di 4 anni, fu dedicata la scuola materna, all’interno del III Circolo Carducci. Partecipai a quella cerimonia.

Ed ultimo, pochi giorni fa, incontro Alessandro, giovane pensionato ENEL e mi fa: “cosa centrate voi con quel libro”. Gli chiedo il perché e mi racconta: “su quel treno è morto un mio carissimo amico e collega, Nicola De Simone. Dovete sapere che nel piazzale della nostra azienda, l’ENEL, fu costruito un monumento in onore di Nicola, ed ogni anno, chiamando i suoi familiari, lo abbiamo ricordato e lo ricordiamo.

Ho pensato a Massimo Abbatangelo, il camerata missino, accusato di un reato infamante. Esplosivo, strage, morte di persone appartenenti alla classe operaia. La bomba fu messa nella carrozza 9 di II classe, il 23 dicembre, di un treno per persone non certo ricche e poi con la morte di tre bambini.

Dovete sapere che in quegli anni, un treno che partiva da Napoli per arrivare a Milano ci impiegava 10 ore.

Una sola volta mi è capitato di prenderlo. C’era sciopero degli aerei. Nell’84 ero il Direttore Sportivo dell’Afragolese in C e capitava spesso di andare a Milano. Ci mettemmo 10 ore. Immaginate quelle persone saltate in aria. Quale mente distorta, deviata, dissociata, poteva commettere un’azione così schifosa.

E RICORDO il 905. Il treno che a salire si chiama 904, a scendere si chiamava 905.  Ho preso quel treno, al primo viaggio, a scendere dopo la bomba e la strage. E mai dimentico una signora anziana, nel mio scompartimento che nel vedere sul suo biglietto quel numero per tutto il viaggio a implorare che non scoppiasse di nuovo. Io dovevo scendere a Firenze, mi spostavo dal calcio mercato a Milano alla Lega di Serie C (OGGI Lega Pro) a Firenze. Ho passato quelle 4 ore (tante ce ne volevano) a calmare quella signora, dicendogli che uno schifoso pazzo criminale non poteva accanirsi su uno stesso treno. Era statisticamente impossibile.

E leggendo l’intervista che Giuliana ha fatto ad Abbatangelo mi chiedevo: quanti amici di Casoria lo conoscono: può essere costui una mente così distorta?

Una delle pagine che più mi ha colpito di questo libro è la lettera che Giuseppe Misso ha inviato e gli fu pubblicata da Notizie Radicali: la sua dichiarazione di innocenza, la storia del suicidio del camorrista che non ha sopportato quel peso e quel marchio infamante. Abbatangelo non l’ho mai incontrato, Misso si. Non era ancora camorrista. Io iniziavo a scrivere: era nel 1971. Il giornale era Sport7. La redazione si trovava all’interno di Arti Grafiche Lampo in via San Pietro a Majella. Una porticina di fianco alla mitica libreria Colonnese, di fianco al Conservatorio, dal balconcino si vedeva la Pizzeria Bellini, il Vecchio Policlinico di Piazza Miraglia, la Chiesa di Santa Marta e anche il Caffè delle Muse. Misso era stato calciatore dilettante e a quei tempi allenava la Virtus Parrocchielle. Portava a noi ogni lunedì mattina il tabellino della sua partita. Così come facevano tanti addetti ai lavori di quel periodo calcistico pioneristico. Sport 7 fu il primo giornale a trattare oltre la serie A e i campionati professionistici anche il calcio dilettante e il settore giovanile ed anche il basket.

Mai avrei pensato che quella persona sarebbe diventato un boss, un camorrista, un leone di marmo.

E, poi, la parola più bella è nel titolo: la strage dimenticata.

Noi siamo qua per non dimenticare.

Non bisogna dimenticare né questa strage né le altre

E poi per chiudere: mai potrò dimenticare le parole di Giorgio Almirante in una straripante di folla Piazza Plebiscito (per darvi una idea: lo stesso quantitativo di gente che avete visto per Pino Daniele).

Il leader missino sosteneva che le bombe non le mettevano né i rossi né i neri ma un ufficio apposito al Ministero dell’Interno con l’unisco scopo di distruggere gli opposti estremismi (così li chiamavano, i moderati, i figli del buon senso, gli appartenenti alle sacrestie e alle parrocchie, quelli che puzzavano di marmellata, polvere di latte e ostie sacre). E così è successo: il PCI arrivò in quegli anni al 34% dei voti invece oggi tutte le sarrecchie e martelli non raggiungono la percentuale di un prefisso telefonico. I Missini sono passati dai 4 milioni di voti a qualche centinaio, oggi.

Oggi è tutta un’ammucchiata al centro! Un popolo, purtroppo, che morirà democristiano.

Romanzo di una strage del grande e sinistrorso Marco Tullio Giordana riconosce questo teorema che a quell’epoca era solo di Giorgio Almirante e dei suoi parlamentari.

Ringrazio ancora una volta i Comitati di Arpino, per le opportunità che mi stanno dando.

Alla fine quindi le parole sono uscite. Grazie a tutti e non dimenticate. Buona serata e buona fortuna a Giuliana.

 

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