Renzo Arbore: quando il napoletano diventa la lingua di tutto il Meridione in Italia e nel mondo

Nasce a Foggia uno dei più famosi interpreti moderni della musica napoletana. Renzo Arbore lega la sua notorietà soprattutto a Napoli città nella quale si è formato artisticamente e di cui ha studiato profondamente la storia, le tradizioni, gli usi, i costumi e la lingua. Nasce fin da giovane la passione per Napoli, da una terra, quella foggiana, che è la più napoletana tra i territori pugliesi. Il dialetto locale del resto, come tante aree del molisano, dell’Abruzzo o della Lucania, ha una profonda influenza data dalla vicinanza con l’unica metropoli del centro-sud, con la dipendenza alla corona borbonica di stanza a Napoli e soprattutto per i commerci e comunicazioni di genti e merci che nel corso dei secoli si sono avuti tra il foggiano ed il napoletano. Non da ultimo, ancora oggi la comunità di studenti fuori-sede foggiana è tra le più rilevanti nel circuito universitario campano.

Renzo Arbore fin da giovanissimo è un artista poliedrico, spazierà nel corso della sua carriera dalla televisione (come dimenticare “Quelli della Notte” od “Indietro Tutta”) alla radio, dalla musica di piazza ai teatri, da canzoni e canzonette (chi non conosce “Cacao meravigliaio”) ad un’opera straordinaria: il recupero di celebri pezzi del’700 e dell’800 napoletano dimenticati dai più.

La sua “Orchestra Italiana” gira il mondo da decenni ormai, portando il verbo partenopeo da Hong Kong a Santiago del Cile, da Cape Town ad Oslo, da Chicago a Mosca. Ovunque i teatri e le piazze si riempiono di italiani all’estero, di figli e nipoti dei nostri immigrati, ma anche di tanti cittadini locali che si lasciano trascinare da “Coccorito”, dalla versione arboriana di “Funiculì Funiculà” cosi come dai grandi classici come “O sole mio” ed “O’surdate nnamurato”.

Ovviamente Renzo Arbore fa sua una tradizione che vede presenti tanti concorrenti. Critiche a Renzo Arbore sono piovute da tanti cantanti “veraci” che non hanno mai ben visto un “foggiano cantare in napoletano”. Ricordo un aneddoto personale legato a Nino d’Angelo. Il primo gennaio di qualche anno fa avevo avuto la possibilità di seguirlo al Trianon e di intrufolarmi nei camerini. Dal retro del teatro Trianon dopo uno spettacolo travolgente il grande Nino rispose ad una mia domanda su Arbore, “Sient Fulvio a mme a pensà ca a cantà e Napule adda essere uno e Foggia, me sent male”. Il Maestro D’Angelo, la più alta autorità di musica napoletana vivente secondo chi vi scrive, rimane un sanguigno ed un vero difensore della purità napoletana doc. Eppure, pur con tutta la devozione che ho per il mio cantautore preferito, provo a dissentire se mi è consentito. Ho un parere diverso dalla Voice casoriana circa quest’argomento. Napoli non è come le altre città del Sud: piccole, fedeli alle proprie tradizioni e forse un po’ provinciali. Napoli è una metropoli che ha portato il suo verbo in tutto il mondo. E’ una città che fa cantare nella propria lingua arabi, russi, nordcoreani (sapete che i leader di questo paese impazziscono per Maruzzella e Luna Rossa?); non possiamo limitare un cugino foggiano ma con Napoli nel cuore, anzi, Arbore ha una cosa che pochi grandi artisti hanno: poliedricità e capacità manageriale. Da qui il suo successo planetario e soprattutto il non stancare anche noi giovani. La presenza di Arbore in tv come in radio è un qualcosa di affascinante ed interessante allo stesso momento. Dunque, se canta ed innalza il nome di Napoli, possiamo rivolgergli l’augurio dei nostri nonni tanto caro al nostro Cardinale: Renzo, ca a Maronn t’accumpagne.

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