QUEL LUOGO DEL DOLORE INFINITO

Fa molto caldo nel Palasport di Monteruscello, frazione di Pozzuoli,   dove si svolge  la celebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo G. Pascarella, in suffragio delle 38 persone ( bambini, giovani, coniugi, nonni) morte in seguito al terribile incidente consumatosi sul maledetto cavalcavia di Monteforte Irpino, dove un pullman con circa 50 persone a bordo, è caduto, nella serata di Domenica scorsa, nel precipizio per cause ancora da accertare. Le bare sono allineate al centro del Palazzetto. E’ rovente il calore, si boccheggia, ma dentro il cuore c’è il gelo, si avverte il freddo glaciale della morte che ha strappato alla vita familiari, parenti, amici, felici di aver trascorso nelle terme di Telese  un fine settimana in un clima lieto e distensivo; sicuramente non vedevano l’ora di arrivare fra le loro pareti domestiche per raccontare ai congiunti la bellissima esperienza vissuta comunitariamente. Più di quattromila persone sono assiepate all’interno dell’area, spazio di vita, di divertimento,

dove soprattutto i ragazzi, solitamente, giocano, ridono, corrono, gareggiano spensieratamente. Ora quel palazzetto è diventato il luogo del dolore infinito, dello strazio del corpo e dell’anima, dei pianti disperati. Avvinghiati alle bare, in ginocchio, seduti o stesi a terra, coloro che hanno amato le vittime e hanno instaurato con loro forti legami affettivi, rapporti stupendi coltivati in ore feconde d’amore e di bene vicendevole e recisi, in una torrida sera d’estate, irrimediabilmente, insensatamente, dannatamente. Commuove il loro abbracciarsi, il loro tenersi per mano; piange ognuno sulla spalla dell’altro: ancora più uniti nella comune e atroce sofferenza. Perché è atroce soffrire per la morte inattesa e tragica di un fratello, di una sorella, di un nipote, di una madre o nonna, ma ancora più atroce   è soffrire da soli. Si fanno coraggio reciprocamente e nel loro confortarsi a vicenda emerge, in quella desolazione profonda, il primo segno della solidarietà umana e fraterna, terreno su cui l’uomo ritrova se stesso, la sua essenza più vera e autentica. Scesi dal piedistallo della superbia e della protervia, ci sentiamo tutti, davanti a quelle bare, al dolore immane dei familiari e degli amici delle vittime, fragili, poveri, bisognosi di ricevere e di donare consolazione, in un clima di solidale sostegno e di reciproca compassione, che attenua l’angoscia dello spirito.

 

In ogni tragedia, si manifesta il peggio e il meglio degli uomini: irresponsabilità gravi, inadempienze colpevoli, superficialità sconcertanti, ma anche aiuti spontanei, gesti generosi fino al rischio della propria vita, sacrifici strenui. Hanno lavorato per una intera notte i vigili del fuoco per estrarre dalle lamiere contorte del veicolo  i corpi delle persone incastrate, nella speranza di trovare ancora vivo qualcuno e i sanitari del 118 erano lì in trepida attesa per prestare i primi soccorsi;  lo stesso, le forze dell’ordine hanno lavorato per ore  per regolare il traffico e consentire che le operazioni di soccorso si svolgessero ordinatamente; moltissimi giovani sono accorsi negli ospedali per offrire il sangue alle persone ferite, qualora avessero avuto bisogno di trasfusioni; con ammirevole dedizione i volontari della Protezione civile hanno donato il loro tempo, ponendosi al servizio di chiunque avesse bisogno di qualcosa.

La tragedia accascia, abbatte, ci opprime e ci angoscia in maniera sconvolgente, ma da essa viene fuori il proposito insopprimibile di compiere il bene, di condividere, di partecipare alle disgrazie altrui. “Non dobbiamo lasciare i familiari delle vittime da soli sotto il peso della croce, vanno aiutati anche economicamente” ha rimarcato il Prelato durante l’omelia. Come pure occorre un sussulto di coscienza, un’assunzione di responsabilità nel cercare ognuno- istituzioni, politici, amministratori, operai, imprenditori, cittadini – di prevenire tragedie, incidenti, svolgendo con serietà, nel rispetto delle leggi, il compito che si viene chiamati a svolgere. Di solito, in tragedie devastanti, ci si domanda dove fosse Dio nel momento in cui esse accadono. “Perché Egli non è intervenuto per salvare le 38 persone morte nella scarpata? Forse la domanda più giusta è “Dov’è l’uomo?   Dov’è, cioè, il suo senso di responsabilità, il rispetto della legalità, la sua prudenza quando guida, la sua attenzione nel controllo del veicolo prima di partire per un viaggio?” Dov’ è l’uomo, il senso della sua onestà nel pullulare di mercati “in nero” nei quali si possono trovare pezzi di ricambi delle auto e degli autobus non originali,scadenti, ma a buon prezzo? “

Ma non voglio sfuggire alla domanda: “Dov’è Dio in tante circostanze dolorosissime, che lasciano sgomenti e atterriti? La risposta è la stessa riportata dal teologo protestante Bonhoffer, il quale recluso in un campo di concentramento nazista,in un giorno gelido, insieme con numerosi compagni di sventura, fu costretto ad assistere all’impiccagione di un ebreo che aveva tentato la fuga: fu in agonia per ore e Bonnhoffer, con gli altri, dovette restare lì, immobile, nel freddo rigidissimo, ad aspettare che l’impiccato esalasse l’ultimo respiro. Ad un certo punto, colui che gli stava accanto gli domandò, quasi in segno di sfida per provocarlo: “Dimmi, dov’è adesso il tuo Dio? Dov’è questo Dio che tu chiami Padre, che ama i Suoi figli di un amore infinito? La risposta del Teologo fu: “Guarda, sta lì, appeso a quel patibolo, che agonizza!”

Dov’è una croce, lì è Dio, ha un cuore immenso per raccogliere le lacrime di tutti, nessuna di esse va perduta e ogni lacrima acquista un senso nella prospettiva della vita eterna. Egli è stato in quel Palazzetto a straziarsi di dolore insieme con i familiari delle persone che hanno perso la vita nella scarpata; era nel gesto struggente d’amore di quelle mani che accarezzavano le bare,  negli abbracci solidali, nelle grida disperate di una signora al momento in cui  portavano via la bara del congiunto, prima di svenire. Dio, come ha scritto il poeta D. M. Turoldo, “naviga in un mare di lacrime”.

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