Il predatore (racconto di Emilia Sensale)

‘i RACconti tornano’ di Emilia Sensale. Foto: Via dei Tribunali, Napoli.

‘È questo che pensi di me vero? Voglio che ci guardiamo negli occhi e ci chiariamo’

Agata camminava a passo svelto lungo il portico di Via dei Tribunali, aveva da poco superato la Chiesa del Purgatorio ad Arco. Era così concentrata sullo schermo del suo smartphone che non si accorse del bambino che per poco si stata scontrando rovinosamente con lei, impegnato come era a correre ridendo di cuore mentre i-racconti-tornanoera inseguito da alcuni amici coetanei più divertiti di lui. Rilesse il messaggio sul cellulare, sospirò e posò l’apparecchio nella borsa. Quattro vecchietti giocavano a carte a un tavolo di un bar, uno di loro aveva un cappello di lana color grigio che solo a guardarlo dava una sensazione di morbidezza e calore. Una folata di vento freddo però sembrò abbracciare il corpo di Agata, la quale istintivamente si chiuse nel cappotto blu scuro e nella grande sciarpa azzurro chiaro.

Si fermò al punto che era stato fissato per l’appuntamento. Era una giornata uggiosa che minacciava pioggia dal cielo coperto allo sguardo da fitte nuvole grigie e molte persone passavano per il Centro Storico di Napoli, si avvicinava l’ora di pranzo e alcuni già camminavano portando tra le mani degli invitanti cartoni quadrati. Agata ne sentiva addirittura il profumo e in certi casi immaginava il gusto delle pizze scelto dai clienti che le passavano davanti. Fu in quel momento che il suo telefono squillò: un nuovo messaggio, questa volta un vocale. La voce di lui si confondeva con i rumori di una radio accesa.

‘Ho preso una sorpresa così pranziamo insieme. E non voglio un NO come risposta, mangiamo insieme, se ti va come sempre in auto. Sto arrivando, sono vicino. Baci tesoro mio’

Agata sorrise e scrisse che lo stava aspettando al solito posto. Pensò che probabilmente aveva preso proprio le pizze e continuava a sorridere pensando alla coincidenza. Dalla prima volta che lo aveva incontrato aveva
sentito come se ci fosse un filo invisibile fra loro e che si leggessero nel pensiero… ma il ricordo di tutti gli P_20170124_141034ostacoli di quell’amore distolse la sua attenzione dal pensiero felice. Nell’attesa, cominciò a fare alcuni passi avanti e indietro per quel tratto della strada con le braccia conserte e per puro caso si accorse del gatto, un felino probabilmente randagio dal manto bianco e nero: era appostato dietro uno dei pilastri dell’antico portico e guardava con attenzione un gruppo di piccioni impegnati a mangiare un pezzo di graffa, probabilmente caduto per caso dalla mano di un passante o gettato da qualche persona generosa. Il gatto dopo un po’ corse con l’intento di afferrare uno dei colombi che, tuttavia, si accorsero del pericoloso e riuscirono a volare via, lasciando il gatto deluso. Agata si rese conto di aver guardato tutta la scena senza fare un tifo particolare, non sperava che i piccioni potessero farcela né che il felino riuscisse nel suo intento, ma aveva osservato il tutto pensando al litigio di quella mattina.

“Mi vedi come un predatore, uno che vuole la sua preda per calmare i suoi istinti famelici, ma non è così, i miei sentimenti sono sinceri, devi solo darmi tempo” aveva urlato lui mentre lei si chiedeva se i sentimenti avessero bisogno di tempo, pure se tecnicamente c’erano delle difficoltà per poterli mostrare al mondo, come se fosse normale l’attesa di un comportamento che lei per le sue esigenze considerava più idoneo e rispettoso.

Agata si destò per il rumore di un clacson. Riconobbe l’auto, si rese conto di avvicinarsi alla portiera con l’entusiasmo di sempre, senza troppe domande. Lo salutò baciandolo sulla guancia e con la coda dell’occhio adocchiò delle confezioni di cibo da asporto sui sedili posteriori, indossò la cintura di sicurezza e subito dopo lui le prese la mano sinistra per portarsela alle labbra in un bacio dolcissimo e delicato mentre aveva le altre dita ben strette sul volante. Si baciarono sulle labbra solo quando furono sicuri di non essere visti da occhi indiscreti e magari pericolosi. Arrivarono dopo molto tempo e tante chiacchiere a un posto panoramico ma appartato, col mare che si vedeva da uno scorcio tra i rami degli alberi, l’acqua si confondeva nel bigio del cielo come se non ci fosse un orizzonte definito.

“Ho preso una pizza margherita poi ho pensato a prendere pure qualche sfizio e delle cotolette, magari mangiamo gustando un po’ tutto” disse lui dandole un bacio sulla fronte e poi sulle labbra, un contatto fra le bocche che diventò in breve tempo appassionatamente serrato. Nel prendere le cose da mangiare Agata notò i giocattoli e i peluche dei bambini ed ebbe una sensazione di malessere, quasi un senso di colpa, ma nel voltarsi a lui che le sorrideva ogni sensazione scomparve. Iniziarono a mangiare rimandando a fine pranzo ogni chiarimento, ma ben presto si ritrovarono nudi mentre alcune timide gocce di pioggia scorrevano lungo i vetri delle portiere e sembravano camminare lungo la parete trasparente con discrezione, regalando un’atmosfera di maggiore intimità a quella coppia. Continuarono a mangiare restando abbracciati, nudi, con lei che teneva la testa sulla sua spalle e il braccio di lui le stringeva il corpo. Agata non si sentiva preda in quel momento ma semplicemente innamorata e continuava ad accarezzargli i capelli neri e morbidi che si confondevano coi suoi, pure corvini ma ricci, ribelli come i suoi desideri quando si ritrovava a riflettere su quella storia.

La pioggia continuava a bagnare Napoli al suo ritorno a casa. Nel suo sentirsi preda di un gatto dalle unghie che le sembravano laceranti si rendeva conto magari di essere un uccello e di poter volare via e si interrogava sul perché non lo facesse, rispondendo con parole riguardanti i suoi sentimenti. La solitudine per Agata sembrò un concetto strano prima ancora di una condizione incorniciata da una gelosia che le sembrava prima giusta poi assurda e inutile, fino al suono del telefono di una vita parallela che sentiva viva e pulsante nel cuore, di una telefonata per darsi la buonanotte, di un presente che magari non invano lei sperava avesse un futuro.

Emilia Sensale 

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