Le sirena Partenope si tolse la vita dopo il rifiuto di Ulisse

In un editoriale dello scorso 22 Aprile, il direttore Troise, con un atipico augurio Pasquale, toccava temi pungenti, temi che come una siringa fatta da un improvvisato infermiere, partorito dalla necessità di risparmiare, buca maldestra la natica condannandola al dolore della puntura del solvente e del soluto. Piu’ che un augurio Pasquale sembra la lista di Natale scritta dal pugno di un bambino. Sempre la stessa, per dei “regali” che non arrivano e forse non arriveranno mai.

In cima a questa lista di Natale in ritardo, o forse in largo anticipo, l’incubo terremoto dell’Irpinia:

90 secondi di terrore, un minuto e passa di giri di lancette infiniti, che ancora non si sono fermati. La terra ha smesso di tremare ma restano le anime terremotate. Le anime di chi l’ha vissuto e di chi sta ancora vivendo la scossa d’assestamento burocratica senza fine: «Quei fondi della legge 219. Quella, tanto per intenderci, della ricostruzione postterremoto. A parte il fatto che di quei fondi solo una minima parte è servita a realizzare case inabitabili, e rioni privi dei più elementari servizi, il resto, e cioè la maggior parte, è finito in tangenti ai politici e in parcelle gonfiate ai tecnici, ai professionisti, ai dirigenti, fino all’ultimo dei funzionari». Tutti assolti, salvati all’italiana con un condono studiato a tavolino. Scorrendo la lista si legge del diabolico incrocio tra Stato e Camorra che procrea ibridi come quello dell’assetto urbanistico; del controllo del territorio da parte di cosche criminali mafiose locali che come burattinai muovono, indisturbati, i fili che arrivano fino ai flussi della spesa pubblica, dall’Ente Locale ai fondi europei. E poi ancora la citazione di un personale politico che viene ammaliato dal fascino dell’imprenditoria e si lascia andare nel valzer: «delle Società miste, nomine nei cda di familiari e parenti, la proliferazione di incarichi e consulenze ad amici e parenti, le assunzioni pilotate, spesso neppure mascherate, la distribuzione degli appalti». Nel girone dei dannati il direttore colloca i “colletti bianchi” della Grande Azienda della Camorra: commercialisti, avvocati ed i loro segretari.

 

Immancabili ingredienti della minestra: L’illegalità, la questione rifiuti, e il dramma delle generazioni future: «Il dramma di vederli partire: Milano, Bergamo, Lecco, Bologna i posti del loro futuro.  La Vacanza in braccio a Lucifero ai colpevoli di questo stato di cose. Le Terre dell’Arte e della Bellezza, del mare e delle terme, dei Vulcani e dei Laghi, debbono essere pubblico ludibrio da parte di rozzi compatrioti». Nella lista, come in una valigia stracolma che fatica a chiudersi, c’è però spazio per una speranza, ahimè anch’essa in fila, in lista d’attesa. Le speranze si sa sono le ultime a morire e forse per questo il Direttore le ha destinate in fondo alla lista.

La nostra resta una realtà di difficile interpretazione, proprio in questa settimana abbiamo assistito all’ archetipo della bizzarria. Mi riferisco alla richiesta fatta alla Rai di non trasmettere “Fortapàsc” da parte del sindaco di Torre Annunziata Starita. Secondo il primo cittadino napoletano la proiezione della pellicola (in omaggio al mese dell’anniversario dell’assassinio del giornalista) non dava giusto onore a quanto di buono fatto in questo lasso di tempo contro la criminalità organizzata nel comune torrese.  In risposta alle preoccupazioni del sindaco è arrivato, prima della libera messa in onda del film, la risposta del regista Marco Risi che sintetizziamo con una frase:«E’una sciocchezza questa di voler nascondere la polvere sotto il tappeto. Non è così che le cose si risolvono».

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