La crisi dell’imprenditoria artigiana napoletana vista dai Fratelli D’Alessandro, maestri della bigiotteria artigianale.

In ambito di profonda recessione, che non vede vie d’uscita, abbiamo incontrato i Fratelli Antonio e Luigi D’Alessandro, due grossi esponenti dell’imprenditoria artigianale campana, fondata dal padre nel 1906; rispettivamente classe 1938  e 1936, i Fratelli D’Alessandro vantano un’esperienza ed una presenza nel settore della bigiotteria artigianale, da circa settanta anni; tuttavia, la nostra intervista raccoglie lo sfogo di un imprenditore che, da autorevole impresa con una forza lavoro di circa venti dipendenti, si ritrova, oggi, costretto a

lavorare ancora per poter sopravvivere ad un’impietosa crisi, che ha messo in ginocchio l’intero settore dell’artigianato, locale, nazionale, e forse, internazionale.

 

In particolare il Sig. Antonio D’Alessandro lamenta come, “con l’avvento dei cinesi, tutta la manodopera mondiale, e con essa l’artigianato mondiale, è andata distrutta, perché non si può competere con il costo della manodopera da loro offerto; è una concorrenza sleale. Noi siamo dei vecchissimi artigiani, ed abbiamo dovuto alzare le mani davanti a questa concorrenza; se io faccio un articolo che dovrei vendere a 5 euro, loro lo vendono a 25 centesimi, come si può combattere? Questa storia vale per me e per l’intero artigianato mondiale.

Noi abbiamo cominciato la nostra attività con un locale di 28 metri quadri e siamo passati a 1.200 mq. nel centro di Napoli, con una manodopera di circa 20 operai, che ho dovuto licenziare tutti perché il costo della manodopera non si poteva combattere.

La vera crisi mondiale, secondo il mio punto di vista, da vecchio imprenditore, è nella venuta degli asiatici, in particolare dei cinesi; pensi che mio figlio aveva 83 negozi a dettaglio, sotto la mia guida, ha dovuto chiuderli, perché non si può combattere questa concorrenza in nessun modo.

Se i politici non affrontano questo problema, la crisi non si sanerà mai: mi rivolgo proprio a Voi politici, se non fate qualcosa, come hanno distrutto me e mio figlio, e penso così come centinaia di artigiani napoletani, vedete un po’ i calzolai, i guantai, sono scomparsi, perché non si può proprio combattere; io penso che voi politici dovreste riflettere su questa cosa, e fare qualcosa, per salvare il Paese, dovreste prendere dei grossi ed importanti provvedimenti; e questo è un problema non solo a livello europeo, ma mondiale.

I cinesi, con il sottocosto della manodopera offerta, ci hanno uccisi; lo Stato, con le tasse sempre più grosse e gravose, ci sta uccidendo; bisogna che si prendano dei seri provvedimenti: le nostre finanze sono controllate dallo Stato, ma i cinesi no! Non vengono mai controllati, mentre noi artigiani siamo sempre stati vessati dalle tasse, sempre sotto la lente dì ingrandimento dello Stato. Lascio ai politici le loro valutazioni e decisioni in merito, altrimenti questa crisi non finirà mai..

Lei pensi che io, all’età di 75 anni, dopo aver lavorato per 70 anni, dall’età di cinque, sono costretto a lavorare ancora per sopravvivere, perché, dopo tanti anni di duro lavoro, mi ritrovo a percepire una pensione di 214 euro: è impossibile viverci, no?

Laddove per tutti  i contributi che mio fratello e dio abbiamo versato nel corso degli anni per i nostri dipendenti,  ci ritroviamo a dover ancora lavorare, perché non abbiamo una pensione che ci consenta di vivere dignitosamente dopo aver dato tanto allo Stato.

Grazie che mi date la possibilità di dire come la penso, un’opportunità che aspettavo da tanto.”

Questo, lo sfogo e l’amarezza di un imprenditore che ha vissuto un passato di tutto rispetto, e che da alcuni anni vive un presente ai margini della precarietà; un artigiano raffinato, che ha ancora tanto da offrire, data la maestrìa del suo prezioso lavoro, che alla veneranda età di settantacinque anni è costretto a lavorare ancora per vivere, con tutti i disagi inevitabilmente legati al tempo che avanza.

Una crisi che da cinque anni attanaglia il Nostro Paese, così come tutti i Paesi dell’Eurozona, resa ancor più devastante dalla eccessiva pressione fiscale che, nel corso degli ultimi anni, si è fatta sempre più pachidermica. Secondo i dati riportati dal Censis, “il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro”, e, non c’è dubbio, il nuovo anno si aprirà con eguale se non maggiore preoccupazione, senza soluzioni di continuità.

La gente scende in piazza, si coalizza, non ce la fa più: e lo Stato che fa?!?

Resta a guardare.

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