La Campania è vittima di un affare

L’incubo dell’emergenza rifiuti del 2008 incombe nuovamente su Napoli e la Campania.

 

Il trauma collettivo rappresentato dall’esplodere di un dramma socio-sanitario ritorna a colpire i napoletani. In questo Paese, dominato da fratture e tensioni sociali e geografiche, in cui la politica ha smesso da anni di porsi da collante e da punto di riferimento, la mistificazione e la disinformazione su questo tema sono i padroni del dibattito. Il “gioco delle tre carte” di napoletana memoria del Governo Berlusconi si è spento davanti al fisiologico riesplodere dell’atavica problematica di questa terra: “la monnezza”.

Per decenni i poteri forti, in primis quelli camorristici, hanno reso la Campania lo “sversatoio” d’Italia, il sogno degli stakeholders di portare a casa affari importanti per le loro aziende con sede a Venezia, Brescia, Monza, Milano, che si liberavano delle spese sui rifiuti, approfittando di accordi a basso prezzo per gettare nelle tante discariche della Campania materiale ingombrante e spesso anche “tossico”. Nel 2008, dopo tanti campanelli d’allarme, la “monnezza” invase le strade, la provincia di Napoli sembrava afflitta da una calamità naturale, quando invece era solamente vittima di un gigantesco affare. Il cemento è “il nostro petrolio”, sosteneva Roberto Saviano in Gomorra, ed i rifiuti potrebbero rappresentare “il nostro oro”, gestito dalla forza economica per eccellenza di questa terra, la camorra. Il puzzo che si sente in autostrada, quando, tornando da Roma, arrivi a Capua, ti sembra il messaggio di benvenuto in Campania, terra devastata dalla politica nazionale, che ha spalleggiato gli affari dei “Casalesi” ed ha abbandonato, usurpato e calpestato il Meridione, favorita anche dalla collusione e dall’incompetenza delle amministrazioni locali. Non dimenticherò mai la campagna elettorale del 2008, quando l’attuale maggioranza di governo sbandierava il grande impegno per Napoli, ripulita e bella, come dice il vergognoso spot televisivo a cui abbiamo dovuto assistere in questi giorni. Il Governo non fece altro che aprire qualche discarica, come quella di Chiaiano, compiendo una scelta folle dal punto di vista geologico. I rifiuti, infatti, si stanno depositando in alcune cave di tufo, materiale molto penetrabile e che quindi può produrre seri danni alle falde acquifere. Le discariche oggi sono colme ed allora è arrivata la geniale decisione di sversare i rifiuti nella famosa “Cava Vitiello” all’interno del “Parco Nazionale del Vesuvio” a Terzigno, sfidando un’intera comunità, formata anche dalla popolazione di Boscoreale. I danni che si infliggerebbero a questa terra dal punto di vista agricolo ed ambientale sono infiniti; stiamo assistendo all’ennesima manomissione dei principi fondamentali del diritto. Inviando, infatti, i militari, il Governo ha simbolicamente comunicato che non sta parlando con dei cittadini, ma con dei sudditi che devono abbassare la testa davanti all’ennesimo sopruso. Mentre è in corso la resistenza di Terzigno e Boscoreale, il centro di Napoli è invaso dai rifiuti. Se negli ultimi due anni, molti comuni della Provincia si sono adoperati per uscire dalla crisi, Casoria compresa, che ha raggiunto dei buoni risultati nei limiti di un problema che a livello regionale e nazionale non è stato per niente risolto, le più grandi difficoltà si notano proprio a Napoli, dove la raccolta differenziata continua ad essere una farsa. Nel capoluogo regionale e città-simbolo di questa meravigliosa terra, si notano le grandi contraddizioni di chi ha pensato che le discariche e l’invito generico alla raccolta differenziata potessero bastare a risolvere l’emergenza rifiuti. Mancano gli impianti di compostaggio, non esiste una politica virtuosa per il riciclaggio, della famosa termovalorizzazione dei rifiuti non si vede traccia. La nostra terra è vittima di un affare, gestito dalla camorra, attraverso proprio il continuo stato d’emergenza, di cui essa si fa carico, trasportando i rifiuti in altre zone o proprio nelle discariche, su cui ha forti interessi. Inoltre, è stato compiuto ormai un incredibile attacco alla salute pubblica; è confermato da statistiche scientifiche che, attorno alle discariche, si concentrano leucemie, neoplasie ed altre malattie. Uno dei dati più inquietanti proviene dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che ha inserito Bacoli tra gli otto comuni della Campania con il più alto tasso di mortalità, malformazioni e neoplasie, a causa del reiterato sversamento di sostanze nocive compiuto nel Lago Fusaro dal 1967 ad oggi. Oltre all’attacco al diritto alla salute, c’è poi la beffa economica delle sanzioni della Comunità Europea. Infatti, le discariche vanno in contraddizione con le direttive europee e con il decreto Ronchi, che nel 1997, recependo proprio il VI Programma d’azione per l’ambiente della Commissione Europea che fissa gli obiettivi e le priorità ambientali che fanno parte integrante della strategia della Comunità europea per lo sviluppo sostenibile 2001-2010, considera lo smaltimento una fase residuale del trattamento dei rifiuti. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti prodotti, una volta favorita in via prioritaria la prevenzione, l’art. 4 del decreto Ronchi imponeva il recupero ovvero:

  • il reimpiego ed il riciclaggio;
  • le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
  • l’utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.

In questo contesto lo smaltimento (messa in discarica e incenerimento) rappresentava la fase residuale dell’intera gestione. La Campania è vittima di un affare, lo Stato dovrebbe invece produrre ricchezza attraverso i rifiuti.

In Inghiliterra viene definita la fase del “post-consumo” e si gestisce, ispirandosi alla filosofia dei “rifiuti zero”, in Italia invece si soffre una spaventosa arretratezza in materia, che nel Meridione (qualche mese fa ci fu l’emergenza rifiuti anche a Palermo) assume contorni inquietanti a causa del dominio della camorra sull’”affare rifiuti”. Assistiamo ad una situazione paradossale; il Governo, che rappresenta lo Stato, impone con la forza una decisione illegale, e chi si oppone a tale sopruso è definito un “camorrista”. Dall’esperienza della “rotonda della Resistenza” di Boscoreale, deve partire la ribellione dell’intera Campania, basata sulla contrapposizione culturale a chi ha manomesso i principi basilari del diritto, del rispetto della salute pubblica e dell’ambiente.

 

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