GIUBILEO DEI GIOVANI: “LA FEDE NON E’ ANESTESIA, MA FUOCO VIVO”

Tra il milione di giovani giunti a Roma, anche diversi casoriani, fra cui i ragazzi /e della Parrocchia S. Antonio Abate

La giornalista Monica Giandotti, che conduce su Rai Due, ogni sera  dopo il TG delle 20,30,  la rubrica “POST”, nell’introdurre il servizio sul Giubileo dei giovani ha dichiarato di sentirsi molto coinvolta ed emozionata nel vedere la moltitudine di ragazzi giunti a Roma, provenienti da 146 parti del mondo, che sprizzano gioia, entusiasmo ed un sorriso radioso. Tra essi anche diversi casoriani, fra cui i ragazzi della comunità parrocchiale di S. Antonio Abate.  La sincera ammissione della Conduttrice  è comprensibile considerato che  i mezzi di comunicazione solitamente offrono una lettura del  mondo giovanile molto diversa, avvalorata, tra l’altro, da varie indagini, in base alle quali in  esso predominano fenomeni di malessere, di sfiducia negli adulti,di indifferenza,  di chiusura in se stessi e con scarsa capacità relazionale dovuta, come ha evidenziato anche Papa Leone, all’eccessiva dipendenza dai social. Molte le dichiarazioni rese dai partecipanti al Giubileo; un giovane,  in particolare, mi ha personalmente colpito, quando ha detto che cerca un senso alla sua vita, che le risposte alle domande fondamentali su chi siamo, da dove veniamo, qual  é il significato della sofferenza, dove andiamo, non le può fornire né la scienza né la tecnologia,ma solo la fede.  Un caso isolato? Non credo, i giovani cercano punti fermi, hanno fame di relazioni autentiche, di adulti credibili, di motivazioni forti, ma il problema è che la Famiglia, la Politica, la Scuola, la stessa Chiesa  non sono in grado di fornire i veri bisogni che manifestano in maniera confusa. Forse c’è più bisogno di guardarli negli occhi, di cercare degli spazi di ascolto e di dialogo  per permettere loro di confidarsi a cuore aperto.

Sono convinto che l’incontro a Roma con testimoni di speranza abbia fornito al loro mondo interiore una ventata di energia, di vitalità, offrendo  degli orientamenti , delle indicazioni che li aiuti a scorgere spiragli di luce nel buio della noia, dello sconforto e della mancanza di prospettive. Ne cito due: il primo è don Antonio Loffredo , già parroco del Rione Sanità a Napoli, che ha raccontato ai giovani italiani la sua esperienza da lui  definita “La via della bellezza”. Le chiese, i chiostri, le catacombe, le case canoniche” ha affermato “sono i nostri granai dell’anima, dove si conserva una bellezza capace di sfamare generazioni. E i giovani, spesso considerate pietre scartate, potranno diventare, con la bellezza, testate d’angolo di un nuovo sistema di sviluppo”. L’iniziativa prese avvio nel 2001 proprio nel Rione Sanità, per tutti “un ghetto, dove si vive da esclusi, ma lì si custodisce un grande dono”  ha sottolineato, “il senso di comunità. Proprio da lì, un gruppo di adolescenti – una paranza – ha sognato uno sviluppo nuovo per il quartiere, e le chiese abbandonate sono diventate Case di Comunità. Nel cassetto della mia scrivania c’erano le chiavi di quei luoghi dimenticati: catacombe, chiese, chiostri, case canoniche, giardini. Le ho affidate ai giovani, convinto che, a differenza dei gufi, loro sono come le rondini di La Pira: “quando viene la primavera si muovono, sospinti da un invincibile istinto vitale, verso la terra ove la primavera è in fiore”. Così, nei luoghi sacri è nata una Comunità educativa: teatro, musica, pittura, canto, scultura … azioni che hanno opposto alla notte dell’inevitabile, la via della folgorazione. La via della bellezza!”. Nel 2024, l’arcivescovo don Mimmo Battaglia, ispirato e stimolato dal progetto, che ha dato lavoro e soddisfazione ai ragazzi coinvolti, li ha resi partecipi di un’altra grande iniziativa: la realizzazione di un Museo diocesano, in cui essi  valorizzano le grandi chiese del Centro storico, prendendosene cura e promuovendo, in tal modo,  il turismo religioso. Ecco una strada da intraprendere: rendere i giovani protagonisti di esperienze di Bene, di Bello, di Cura, sprigionando il loro entusiasmo, la loro creatività, la voglia di potenziare i peculiari talenti.

La seconda testimonianza è quella della mamma di Sammy Basso, Laura Lucchin, che ha definito “privilegiata” l’esperienza di vita vissuta con suo figlio, morto a 28 anni a causa della progeria, una malattia rara che produce un invecchiamento precoce e accelerato senza alterare le funzioni mentali. La progeria causa l’insorgere di malattie senili nel bambino. Lei ha sollecitato i giovani a rendere preziosa  la propria avventura umana con scelte che “riempiono il cuore” . Sammy , infatti,  a causa della sua terribile patologia,  avrebbe avuto tutte le ragioni per avercela con il destino e per seppellirsi nella rabbia e nella disperazione. Invece, egli amava la vita: la sua patologia  non gli impediva  di reclamare e di gridare al mondo che si può essere felici, si può godere dell’affetto della famiglia e di una miriade di amici, si può studiare e impegnarsi per gli altri malati, perché siano meno soli. La lezione di Sammy è che l’amore è la cura, prendersi a cuore la fragilità, farne una risorsa e non un limite, una leva e non un peso, condividere percorsi di vita, costruire relazioni in un mondo a misura di tutti. Si resta stupiti, meravigliati sorpresi, considerato che, secondo la logica del mondo,  la felicità, oltre che dal possesso abbondante dei beni materiali, è dovuta anche alla bellezza esteriore, corrispondente a determinati canoni fisici. E’ l’appello che ha lanciato  anche Papa Leone ai giovani, ossia di essere felici imparando a fare della propria vita un dono per rendere felici gli altri. Sì, ci si può sollevare dai limiti tremendi della propria fisicità, dalle proprie fragilità e tribolazioni, facendo dell’esistenza un capolavoro con la forza che viene da Dio, come ha fatto Sammy Basso. Ha  scritto don Davide Banzato, sacerdote della Comunità pontificia Nuovi Orizzonti: “Il Giubileo dei Giovani non è solo un evento ma una soglia da attraversare. È l’occasione per dirsi che un’altra vita è possibile.  la fede non è anestesia, ma fuoco vivo. Che la Chiesa, se sa davvero “uscire”, può ancora essere casa e profezia. Il futuro non appartiene a chi ha più follower ma a chi ha il coraggio di sperare anche quando tutto sembra perduto. Non lasciamoli soli. Apriamo porte, curiamo ferite, raccontiamo con la vita che la Speranza ha un volto. E che quel volto ci sta ancora cercando.

 Antonio Botta

 

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