Ultimo dei tre incontri del prof. L. Santopaolo sui “Dieci comandamenti” nella parrocchia S. Antonio Abate”
Un’ora piena di catechesi, ma nessuna stanchezza nell’ascoltare il prof. Luigi Santopaolo, docente di Sacra Scrittura, nell’ultimo dei tre incontri sui “Dieci comandamenti” svoltosi ieri nella Parrocchia S. Antonio Abate in Casoria, di cui è Parroco don Agostino Sciccone. Sempre alternando riflessioni ricche di sapienza spirituale e teologica a osservazioni bonariamente ironiche, ma anche amare, su certi pregiudizi che incidono tuttora sui modi di pensare e di agire marcatamente anticristiani, Santopaolo ha sviluppato quanto già espresso nei due precedenti incontri su come debba intendersi la relazione autentica, non devozionistica né formalmente ritualistica, col Signore alla luce del compimento della Legge mosaica che Gesù è venuto a portare.
“Il nostro rapporto con Dio” ha sottolineato il Relatore “ si misura sulla base delle relazioni con gli altri; il Signore si occupa più della qualità delle relazioni con gli altri che di quelle con Lui” Quindi, come rimarcato nel precedente incontro, da quando il “il Verbo si è fatto carne”, assumendo la condizione umana, ogni carne, ogni persona è sacra, perché immagine e somiglianza di Dio; perciò, si adora Dio in ogni prossimo, in ciascun essere umano che ci è accanto. Aggiungo che S. Giovanni Paolo II (Papa Wojtyla ), in consonanza con quanto posto in luce da Santopaolo, in una profonda riflessione fatta quando si recò sul Monte Sinai affermò che “i dieci comandamenti non sono l’imposizione arbitraria. Essi salvano l’uomo dalla forza distruttiva dell’egoismo, dell’odio e della menzogna. Evidenziano tutte le false divinità che lo riducono in schiavitù: l’amore di sé fino all’esclusione di Dio, l’avidità di potere e di piacere che sovverte l’ordine della giustizia e degrada la nostra dignità umana e del nostro prossimo”.
Soffermandosi sul quarto comandamento, che congiunge i primi tre riguardanti Dio e i sette relativi all’uomo, Santopaolo ha spiegato che l’onore non va limitato, non va circoscritto unicamente ai genitori, ma va esteso a tutti, in particolar modo a quelle persone che egli ha definito “ zavorre della nostra esistenza”, a coloro che Papa Francesco ha sempre indicato come “ scarti della società” efficiente, individualista e indifferente. Cosa s’intende per “onorare” il Docente di Sacra Scrittura lo ha ben chiarito quando ha osservato che il verbo fa riferimento ad una presenza amorevole, ad una vicinanza fraterna, premurosa, disinteressata, senza aspettarsi alcuna rendicontazione, nessuna ricompensa, aggiungendo che “la misura dell’onorabilità che spetta ai genitori è determinata dall’amore” che essi sapranno mostrare ai figli, promuovendo, all’interno del nucleo familiare un clima favorente la disponibilità reciproca fra i membri ad aiutarsi, a comprendersi, a farsi carico ciascuno dei problemi altrui, in una relazione autentica in cui conta l’eccedenza di perdono e di grazia e non una mera giustizia retributiva, in base al tornaconto, all’equivalenza tra dare ed avere. I genitori, ha posto in rilievo Santopaolo, non devono, dunque, preoccuparsi di lasciare in eredità ai figli la “roba” di verghiana memoria, ma il bene supremo dell’amore “espansivo”, la capacità di amare senza condizioni. Questa sollecitazione del prof. Santopaolo è molto congruente con quanto dichiarato più volte dallo psicanalista cristiano Massimo Recalcati: “La direzione non è dare in eredità ai figli giardini reali, non è dare in eredità ai figli i beni, le rendite, le proprietà. Si tratta di dare in eredità ai figli il nostro sguardo sul mondo. La prima forma dell’eredità dei figli è l’eredità dello sguardo dei genitori. Questo sguardo è capace di vedere lo splendore del mondo? Questo sguardo è capace di testimoniare che sentiamo, che sentiamo ancora, che siamo ancora capaci di amare nonostante il dolore del mondo”? Santopaolo ha concluso facendo riferimento alla parabola del “Padre misericordioso”, in cui la scelta paterna del perdono, quale gesto gratuito, assoluto, radicalmente libero, certamente difficile da compiere – “per questo occorre l’aiuto della grazia divina – fa capire chiaramente che non è possibile senza che vi sia la rinuncia a rivestire il ruolo del giudice, che condanna e sanziona. Il perdono, ha espressamente fatto intendere il docente di Sacra Scrittura, non è l’esito di un ragionamento giuridico, ma un dono a fondo perduto, come predica e testimonia Gesù, l’ esposizione gratuita e dispendiosa di sé, che nulla ha a che fare con il calcolo o il tornaconto. Galimberti: “L’amore è, prima di tutto, un rischio. Amare significa consegnare una parte di noi a un’altra persona, sapendo che potremmo soffrire, che potremmo non essere ricambiati o, peggio, che potremmo perderci nell’altro fino a smarrire noi stessi. Questo, però, non è un limite dell’amore, ma la sua essenza. Amare significa accettare che l’altro esiste non come proiezione dei nostri desideri, ma come individuo autonomo, con i suoi bisogni e i suoi limiti.”
Antonio Botta