Non c’è nulla di più affascinante di un vecchio Cine Teatro di provincia, dove il grande schermo si alza come una cortina teatrale e lascia spazio a immagini che non solo raccontano storie, ma fanno vivere emozioni. In quel luogo, un’affermazione incisa sulla volta – “Fugge la vita. Vivente resta nell’arte” – si trasforma in un monito potente, quasi a voler ricordare che l’unico modo per fermare il tempo è attraverso la bellezza dell’arte stessa. E proprio l’arte, in tutte le sue sfumature, esplode nell’ultimo film di Ferzan Ozpetek.
Il regista, da sempre maestro nel raccontare storie di vita, ha dato vita a un’opera che tocca le corde più intime dell’animo umano. Come le abili sarte della pellicola, Ozpetek ha saputo cucire un film che non solo racconta una trama, ma veste le anime dei suoi protagonisti, calzando perfettamente su di loro, tra passione, dolore e speranza. La vita che scorre, con le sue gioie e i suoi dolori, si intreccia con il lavoro, la lotta quotidiana e la ricerca di sé.
Il cast, quasi interamente al femminile, meriterebbe un tributo speciale per l’intensità che ogni attrice ha saputo infondere nel proprio personaggio. Lontano da cliché e banalità, ogni interpretazione è unica e autentica, conferendo alle donne protagoniste un’anima profonda. E anche la “quota azzurra” non passa inosservata, dimostrando che anche i personaggi maschili, pur in minoranza, sono parte integrante di una narrazione ben bilanciata.
Non possiamo non spendere qualche parola per Luisa Ranieri, sempre più protagonista del cinema italiano, la cui performance nel film non lascia scampo: si conferma come una delle attrici più interessanti del panorama contemporaneo. E poi, come se non bastasse, c’è la voce di Giorgia, che con la sua canzone omonima al film è riuscita a scatenare un turbine di emozioni, strappando più di una lacrima a chi ha avuto la fortuna di assistere a questo capolavoro.
Ozpetek, come sempre, riesce a stupire, facendo parlare non solo i personaggi, ma anche la sua regia, che è capace di raccontare le sfumature più sottili dell’essere umano. Una volta di più, il regista ci invita a riflettere sulla vita che scorre, sull’impermanenza e sull’importanza di lasciare un segno nel mondo attraverso l’arte. Un’arte che non passa mai, ma che resta viva nell’emozione che suscita.
Chissà se il mese prossimo parleremo dell’“Effetto Ozpetek”. Chi ha un occhio attento alle coincidenze capirà esattamente a cosa mi riferisco.
Grazie, Ferzan, per essere sempre un’anima in movimento.
articolo di Domenico Borriello