“LA TUA SETE DI PERDONAR E’ IL DONO DI INFINITA CARITA’”

Casoria: nella parrocchia S. Antonio Abate i giovani protagonisti della Via Crucis drammatizzata

Venerdì sera la Via Crucis drammatizzata dai giovani nella parrocchia S. Antonio Abate, ha toccato, nel profondo, le coscienze delle persone che vi hanno assistito, perché,  interpretando alcuni personaggi presenti nei momenti del dramma della passione di  Cristo, hanno posto in luce   pensieri, dubbi, domande, riflessioni che emergono dal fondo dell’anima anche in ciascuno di noi  in particolari momenti del nostro percorso  esistenziale. Ciò che è emerso dall’evento,  ben coordinato dal seminarista Salvatore Porricelli , è la forza dell’amore del Maestro che supera ogni ingiustizia; è la nobiltà del perdono dell’Innocente che, oltraggiato, sbeffeggiato, brutalizzato, reagisce con “disarmante” mitezza; è la grandezza della misericordia di Gesù mostrata nel tradimento di chi, tra gli amici, lo ha ingannato e rinnegato; è la promessa del Figlio di Dio al “buon ladrone”di accoglienza immediata nel Suo Regno, perché basta una parola buona, di riconoscimento sincero del male compiuto per fare spalancare al Signore le porte del Cielo;   è, infine, lo sguardo teneramente dolce  che il Messia dalla Croce volge a Maria per affidarLe, in Giovanni, i figli della Sua chiesa.

Accennavo, poc’anzi, alla possibilità di identificazione in  uno o più dei personaggi coinvolti nelle ultime vicende della vita terrena di Cristo; per questo, è opportuno fare riferimento ai monologhi espressi con vivo realismo da ciascuno di loro, preceduti dalla lettura di brevi passi tratti dal Vangelo di Luca. I canti, ben intonati (“Resto con te”, “Sono qui a lodarti”, “Tu sei Re”, “Stai con me”, “ ‘A fede ‘e Maria”, “‘M Shalem” ), accompagnando i vari momenti della rappresentazione, hanno contribuito a creare  un clima di raccoglimento orante e a rendere maggiormente  partecipe l’assemblea ad ogni fase del rito.

Tra i personaggi, uno solo, Giuseppe, pur non essendo presente agli eventi della passione di Gesù, è stato inserito nella Via Crucis drammatizzata: un’interpretazione in cui si è colto, oltre all’amore tenero e profondo per la Sposa, anche il dolore paterno per ciò che il Figlio dovrà atrocemente subìre “( … Non ho paura, se tu sei qui con me; non temerò di varcare la soglia.  Una cosa sola mi dispiace: non esserci quando soffrirete. Quando lo ammazzeranno io non sarò lì a difenderlonon potrò mettermi tra lui e la frusta, come farebbe qualsiasi padre per il proprio figlio innocente… Ma io lo so che poi, presto, molto presto, Lui tornerà ad aprirci le porte… a portarci via dal buio. Così ti rivedrò, Maria. Perché io ti amo …). Dal monologo di Giuda emerge il motivo del suo tradimento : “ …pensavo che in quel momento Lui, il mio maestro si sarebbe rivelato nella sua gloria, quella del Messia che tutti aspettavamo, e invece, invece no, Lui era diverso, Lui era un altro, Lui era ….  Ed io invece non ho capito, ed io invece l’ho tradito: e il bello è che Lui lo sapeva”. Giuda si aspettava, dunque, un Messia politico, venuto a liberare la Palestina dalla dominazione romana. Egli amava il Maestro come tutti gli altri discepoli, ma, dal suo punto di vista, Gesù lo aveva profondamente deluso, come un innamorato che non riscontra più importanti aspettative nella persona nella quale aveva riposto grande fiducia. Quale l’errore di Giuda? Quello di non avere aperto il cuore al Maestro in un colloquio chiarificatore, e di avere disperato, dopo, del Suo perdono, tanto da precludersi la possibilità di una riconciliazione, di un bacio, quello di Gesù, bacio d’amore, di misericordia, che avrebbe cancellato definitivamente il bacio del tradimento. Eppure “…”Amico”, mi ha chiamato quando l’ho baciato, e mi ha abbracciato ancora, come tutte le altre volte”.  In quante occasioni, un rapporto d’amore, d’amicizia, s’ interrompe per un malinteso, per un dialogo mancato, per l’assenza di un chiarimento sincero, di una ricucitura che è mancata?

Che dire, poi, di Pietro?  Alcune sue espressioni chiariscono il rapporto con Gesù che  lo sceglie come la “roccia” sulla quale fonderà la sua Chiesa, nonostante lo rinneghi per tre volte. Inizia con queste parole il monologo di Pietro: “Non puoi immaginare quanto ti ami. Eppure ti ho rinnegato!! E così lo conclude: “… “Non puoi immaginare quanto io ti ami”. E lo amava per davvero! Un amore tenace, granitico, che manifestava al Maestro con il suo temperamento impetuoso; un amore fedele e sincero. Ma, allora, perché lo tradì? Se Pietro pianse amaramente dopo il suo triplice rinnegamento, è perché aveva amato molto. Poche volte riflettiamo sul fatto che, mentre gli apostoli fuggirono e si nascosero pavidamente, in Pietro, nonostante la paura, l’orrore per la sofferenza, fu più forte l’amore per il Gesù per il quale aveva accettato il rischio di seguirlo più da vicino. Pietro sbagliò nella tentazione (e chi non vi si può riconoscere ?), però fu un soldato che affrontò il pericolo di tradirlo, pur di non abbandonarlo al suo destino. Se avesse amato di meno sarebbe fuggito come gli altri e certamente non avrebbe peccato. Però, qual è il peccato più grande: il rischio o la viltà? Gesù, oltre le debolezze, le asprezze, le impulsività di Pietro, ha visto il  grande amore che nutriva per Lui. E quelle lacrime copiose, dopo avere peccato, attestarono senza ombra di dubbio, che certamente nella vita si sbaglia, si incappa nell’incoerenza, si sperimenta il fallimento, si commettono errori, anche gravi: fa parte della nostra umanità, della nostra vulnerabilità;  ma quel pianto non mostra la fine di un amore, come aveva creduto, purtroppo, Giuda, quanto la sua ripartenza dopo la caduta.

Ecco, poi, l’intervento di Pilato: “ … Ho detto di sì. Con il voltastomaco (alla crocifissione, ndr). Avrei voluto gridare “No, decido io”, e il Cristo lo lascerò andare!! Ho detto di sì, invece. e me ne sono lavato le mani Da qui la preghiera al Signore affinché  “il fascino sottile del potere non ci faccia cedere al compromesso e all’ingiustizia; la nostra insicurezza non diventi rinuncia alle nostre responsabilità. Liberaci da ogni ambiguità e doppiezza, rendi integra la testimonianza della nostra fede.”

Tante le suggestioni, le “provocazioni” dei bravissimi giovani, anche con altri personaggi: chiara e forte l’esortazione, con il monologo di Simone di Cirene, ad essere testimoni di carità; a far nostra la raccomandazione rivolta alle “donne di Gerusalemme”di cambiare vita, per rinnovarci nel desiderio di bene; a riconoscere con umiltà come il centurione il male inferto ad un innocente ( … Era innocente, lo so, era innocente. Davvero  quest’uomo era Figlio di Dio ); a glorificare  la Sua croce e  risurrezione con una postura di sacro rispetto per ogni vita martoriata, vilipesa, uccisa, sull’esempio di Giuseppe d’Arimatea e di Nicodemo che  avvolsero in un lenzuolo il corpo del Signore per porlo nel sepolcro scavato nella roccia. Ultimo, ma importante “focus” va all’interpretazione magistrale della Madonna. Nel suo accorato e “sentito” monologo, vi è la sofferenza di ogni madre per il proprio figlio martoriato dal male (… Quale madre potrebbe sopportare uno strazio simile! Eppure è così. È una vita che ti guardo, è una vita che ti seguo nel silenzio …); quante madri, nei conflitti sparsi in varie parti del pianeta devastato dalle distruzioni, hanno ripetuto queste parole, disperandosi, piangendo, tormentandosi: “Figlio, figlio mio … come è possibile tutto questo? Non posso guardarti perché il cuore mio non può sopportare quello che gli occhi vedono “… Una Madonna umana, non aureolata, non angelica, che comprende che quel Figlio, Dio nella “carne, ha donato Se stesso “perché da tutto questo possa scaturire la salvezza” per tutti gli uomini, e, quindi  … “Non posso fare altro che accettare, ma la mia non è supina sottomissione al dolore, è consapevolezza che qualcosa di più grande di me sta avvenendo, è la certezza nella tua Resurrezione.  In questa mirabile certezza di Maria, che fa scorgere, nel buio della notte, il luccichio di stelle, nelle lacrime versate riflessi del sole che sta per sorgere, siamo tornati a casa con nel cuore le note del canto “’M Shalem”, di grande intensità orante – per questo ascoltata in ginocchio su invito del parroco don Agostino Sciccone – commossi per  melodia, profondità del testo e limpida voce, capaci di far vibrare le fibre più profonde della nostra interiorità. Grazie di cuore, dunque, alle giovani e ai giovani per il loro dono pasquale.

Antonio Botta

 

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