
A Roma, 7 intrepidi ragazzi, nel Settembre 1943, furono uccisi mentre partecipavano alle rivolte per cacciare dalla Città i Tedeschi: Maurizio Cecati (appena diciottenne); Antonio Calvani (16 anni); Carlo Del Papa (13 anni); Ugo Codani; Salvatore Lorizzo; Carmela Coco; Nello Di Mambro. A Genova, Giovanni Casartelli, di 15 anni, fu ucciso dai nazifascisti il 24 Aprile 1945, mentre in Albenga, sempre nella regione ligure, Rosario Di ferro, quattordicenne, fu torturato e fucilato, alla fine di Marzo 1945, per non aver rivelato il nome dei suoi compagni partigiani. Spostiamoci nel Piemonte, dove Franco Centro, anch’egli di 14 anni, fu catturato e ucciso mentre portava messaggi per conto dei partigiani. A Marcon (Treviso) abitava, invece, Dolfino ortolan, sedicenne, ammazzato insieme al padre.
Oltre a quelli citati, molti altri giovani e adolescenti perdettero la vita per un’Italia libera, fondata sui valori democratici della pace, della giustizia e dell’uguaglianza, nel rispetto della dignità inalienabile di ogni persona. Il loro sacrificio, insieme a quello di moltissimi partigiani, non va reso inutile: per questo, il rinnovamento della vita istituzionale, politica e civile deve continuare ad essere perseguito con ardore e senso di responsabilità da tutti gli Italiani, superando le ragioni di divisione e del conflitto perpetuo ed esasperante e convogliando le divergenze di pensiero all’interno di una libera dialettica politica e di rispettoso confronto civile Da dove attingere la forza per uno sforzo di concordia se non dalla Costituzione, nata sul sangue sparso da patrioti che hanno lottato, senza paura, durante la Resistenza? Come scrisse Giorgio Napolitano nel sessantesimo anniversario della Costituzione repubblicana, “non c’è terreno comune migliore di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo costituzionale. E’, questa, la nuova, moderna forma di patriottismo nella quale far vivere il patto che ci lega: il nostro patto di unità nazionale nella libertà e nella democrazia.” E’ ciò che auspica per i figli, in una struggente lettera, Pietro Benedetti, di 41 anni, morto il 29 aprile 1944, fucilato sugli spalti del Forte Bravetta di Roma da plotone PAI (Polizia Africa Italiana).
Ai miei cari figli,
quando voi potrete forse leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più fra i vivi. Ho fatto la domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo straniero oppressore. Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo momento d’addio alla vostra povera mamma e a voi, miei cari disgraziati figli.
Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli. Siate umili e disdegnate l’orgoglio; questa fu la religione che seguii nella vita.Forse, se tale è il mio destino potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare serenamente la morte.»