Omicidio a Casoria: i racconti di largo San Mauro

Sono da poco passate le otto, Franco e il suo amico hanno appena preso il caffè e stanno tornando di fronte per aprire il portone della chiesa. Dietro di loro esce Andrea, il barista, che sistema l’ombrellone: il sole è già caldo nella piazzetta di San Mauro, nel cuore della vecchia Casoria. Poi tutto accade in pochi istanti. La macchina gialla – una renault clio? – arriva di corsa e si infila controsenso in via Santa Croce; uno scooter con due uomini la segue. La macchina gialla si ferma un attimo, perché c’è un’auto di fronte che deve passare: inconvenienti che capitano, se guidi controsenso. Il motorino intanto avanza nella piazza, davanti al cancello della chiesa, e si guarda la scena. In un attimo partono i colpi di pistola, che scoppiano come petardi nell’ora silenziosa e già calda della mattina. Un proiettile prende il tubo della grondaia. Un cliente è lì, dentro al bar, bloccato in una morsa di terrore. Vede il barista rientrare sulla porta, sente il suo sospiro: è l’ultimo. Dopo una decina di minuti arrivano i carabinieri e l’ambulanza, ma è tutto inutile. Non c’è niente da fare: Andrea Nollino, 42 anni, incensurato, è morto sul colpo. Vincenzo il macellaio esce sulla soglia e non crede ai suoi occhi, Michele il tipografo si chiede se tutto questo è normale, Pasquale il vetraio piange e stringe la figlia, e pensa che Andrea aveva tre figli, e la più piccola ha solo cinque anni. Arriva anche il parroco, don Mauro, e prima di dire messa gli tocca andare a benedire il corpo di Andrea, che conosceva bene perché era un devoto del santo. San Mauro: tra meno di una settimana è la sua festa. Era già tutto pronto per domenica, ma di certo non se ne farà più nulla della banda e dei fuochi, della rievocazione storica che si mette in scena proprio qua nella piazzetta. Carabinieri e Polizia sono al lavoro.

Tutto intorno, la solita mischia di curiosi. Ma anche tanta gente del quartiere: perché Casoria non è il bronx, non è la periferia degradata della grande metropoli napoletana. Il quartiere di San Mauro è il cuore della vecchia città, con tutte le sue contraddizioni. Affianco al bar, l’Unione Sindacale di Base, l’associazione dei disoccupati. Vecchi palazzi cadenti e nuovi parchi degli speculatori del cemento. Vecchie famiglie, dignitose e lavoratrici, ma anche trapiantati di ogni dove, immigrati pure. E certo, anche tanta povertà a portata d’occhio, nei bassi dei vicoli. Gli inquirenti lavorano, e certamente si chiedono quello che si chiedono tutti nella piazzetta: gli spari erano indirizzati al barista? c’entra qualcosa la macchina gialla? forse lo scooter stava inseguendo la macchina, oppure facevano parte dello stesso commando: chissà. Sono solo ipotesi. La certezza di chi conosceva Andrea, è un’altra: che lui col malaffare non c’entrava nulla. Che è stato uno sbaglio. Che non doveva accadere. L’ultima parola la diranno Carabinieri e Polizia: per le indagini queste sono ore cruciali, segnate dallo stress di altri due fatti di sangue accaduti alla periferia di Napoli.

 

Andrea era sposato da 18 anni con Antonietta; hanno tre figli, il più grande di 17 anni, la più piccola – si chiama come lui, ma al femminile – ne ha appena cinque. Ragazzi attivi in chiesa: da qualche settimana avevano cominciato il campo estivo all’oratorio; e anche stamattina, stavano per scendere per andare al campo sportivo di via Diaz. Andrea lavorava al bar da sempre, lo gestiva insieme al fratello più grande Luca. Il palazzetto nel quale vivono, in largo San Mauro, è della loro famiglia da almeno tre generazioni: suo nonno Andrea, soprannominato dall’epoca del fascismo “il caposquadra”, gestiva una piccola cantina, un’osteria casereccia, proprio negli stessi locali che sono poi divenuti bar. Il cognato di Andrea, marito della sorella, è Enzo Ferrara, amico, ragazzo perbene e stimato, impegato alla Facoltà teologica di Capodimonte, e presidente della Unione Cattolica Oprraia San Mauro, sempre in prima linea nelle iniziative parrocchiali: a tutta la famiglia, al rione di San Mauro, nel quale sono cresciuto, alla chiesa dove sono organista per più di vent’anni, va il mio pensiero: di sconforto, di rabbia, di umana vicinanza e partecipazione…

Fonte: Repubblica – di Giuseppe Pesce

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