Non si possono “ingabbiare” le persone con disabilità

L’incapacità di inserire sul mercato del lavoro persone anche solo potenzialmente produttive é fonte di inefficienza sia da un punto di vista economico che sociale. Da un punto di vista economico si generano inutili sprechi di risorse e costi aggiuntivi per alimentare un sistema assistenzialista che non promuove la produttività di persone a vario titolo svantaggiate. Da un punto di vista sociale invece é innegabile come la promozione all’accesso al lavoro é condizione necessaria per l’affermazione della propria identità e dignità umana (Amartya Sen). La citazione di Sen descrive in modo molto lineare non solo l’importanza del lavoro per ogni cittadino, ma soprattutto il carattere “meritorio” di tutte quelle politiche e iniziative che, a vari livelli e secondo modalità differenziate, si propongono di favorire l’accesso al lavoro delle fasce di popolazione che soffrono situazioni di disagio e fragilità sociale. Un lavoro dignitoso é un diritto di ogni persona e consente di rispondere a una molteplicità di bisogni che incidono direttamente sulla qualità del progetto di vita: dalla sicurezza del reddito all’autorealizzazione di sé; dalla possibilità di socializzare in un particolare contesto come “il posto di lavoro”, fino al raggiungimento di diritti di libertà che rappresentano l’architrave del patto sociale che fonda le società contemporanee. L’inserimento lavorativo di soggetti “svantaggiati é anche un bene che produce una consistente serie di “esternalità positive” che vanno a favore delle comunità locali in termini di aumento della sicurezza e della coesionesociale, qualità della vita e, non da ultimo, risparmio di risorse pubbliche investite in servizi di cura e di contenimento che ne fanno uno dei migliori esempi di “welfare dello sviluppo”.

Come cittadini a pieno titolo, le persone con disabilità hanno gli stessi diritti di qualsiasi altro e, in particolare, il diritto alla dignità, alla parità di trattamento, a una vita autonoma e alla piena partecipazione alla vita sociale.L’Unione Europea promuove l’inserimento attivo e la piena partecipazione dei portatori di handicap nella società, in linea con l’approccio che inquadra il tema delle disabilità nel contesto dei diritti umani. La disabilità, infatti, è una questione da affrontare nell’ambito dei diritti e non da lasciare alla discrezione dei singoli, un approccio, questo, che è lo stesso al centro della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, cui l’Unione Europea ha aderito come organismo a sé stante.Ci vogliono leggi moderne e aggiornate, ma anche politiche e azioni specifiche: la cultura dei diritti, infatti, va riconquistata ogni giorno,in modo tale da poter concretamente affermare quelli delle persone che vivonoin condizioni di disabilità. E per le persone con disabilità psichica e/o intellettiva spesso la questione è ancor più complessa. Non vi è dunque giustizia e rispetto dei diritti umani dove non vi sia partecipazione attiva e riconoscimento delle differenze e in questo senso la persona disabile non dev’essere solo destinataria passiva di politiche chela riguardano, ma soprattutto un soggetto protagonista. Questo vale a incominciare dallo stesso progetto di vita, che non puòessere tale se sono gli altri a decidere tutto. In sostanza, se non viene datonessuno spazio all’intervento del soggetto con disabilità nelle scelte che lo riguardano, si rischia di “passivizzarlo” e di renderlo oggetto passivo di un intervento assistenzialistico. La partecipazione di queste persone al loro percorso significa altresì la possibilità di farne funzionare le capacità e di sviluppare tutte le potenzialità della loro umanità. E invece, in genere, il progetto di vita viene impostato dagli altri e spesso la persona si ritrova senza la possibilità di incidere minimamente sul corso della propria esistenza, con la negazione della sua libertà di scelta. Non si può “blindare”, “ingabbiare”, “precostituire” tutta l’esistenz delle persone disabili e a tal proposito l’importanza del lavoro come fattore fondamentale per la loro integrazione sociale e vita autonoma è una certezza ormai da tempo acquisita, quanto meno a livello di coscienza collettiva culturalmente avvertita e un minimo informata sulle potenzialità e i diritti fondamentali e inviolabili di queste persone. E tuttavia le dinamiche sociali, culturali, scientifiche ed economiche impongono che un sistema normativo,per quanto complesso e avanzato, metta in atto, con tempestività, processi di aggiornamento e revisione degli strumenti di cui dispone, per accrescere a tutti i livelli l’inclusione sociale e la diretta partecipazione di queste persone “gabbate e silenziate”. Né bastano le norme da sole, che troppo spesso restano lettera morta.

Servono infatti anche politiche e battaglie specifiche, perché la cultura dei diritti va riconquistata ogni giorno, per potere concretamente affermare i diritti delle persone che vivono in condizioni di disabilità.

 

Un cordiale saluto,

Mauro Curioso

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