Muti, il Nabucco e l’inno di Mameli

ROMA- La musica del Nabucco di Verdi, definito da Gianfranco Fini come ”uno dei simboli più intensi dell’Unita’ nazionale” insieme all’Inno di Mameli, ”invade” l’Aula di Montecitorio e diventa lo spunto di un accorato appello del presidente della Camera e del maestro Riccardo Muti per una difesa della cultura italiana e delle Istituzioni che la promuovono.
   L’Emiciclo strapieno, normalmente luogo di aspri scontri e rumorose polemiche politiche, ascolta in religioso silenzio l’orchestra e il coro del Teatro dell’Opera di Roma nell’Anniversario dell’Unita’ nazionale. Nei banchi usualmente occupati dai deputati oltre ai parlamentari siedono diverse autorità ed esponenti del panorama culturale nazionale c’e’ pure la ex presidente della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi, che oggi ha avuto un lieve malore ma ha comunque scelto di essere presente al concerto per il compleanno dell’Italia unita. E’ a loro che Fini dice, fra gli applausi, dopo aver dedicato il concerto al popolo giapponese martoriato dal terremoto: ”La cultura deve essere sempre sostenuta dalle Istituzioni. Spiace dover rilevare che non sempre cio’ e’ avvenuto. La cultura deve essere sostenuta e promossa dalle istituzioni attraverso strutture opportunamente potenziate e valorizzate”.

 

   Una ”palla”, quella sulla necessita’ di finanziare le istituzioni culturali a partire dalle fondazioni lirico-sinfoniche, che Riccardo Muti raccoglie, al termine di una emozionante esecuzione in un Aula impavesata di Tricolori. Il direttore d’orchestra, ribadendo di non voler ”apparire come un questuante, dice: ”Oggi, 21 marzo, purtroppo, il mondo e’ in fiamme, ma e’ anche il primo giorno. E allora, ai politici lascio una domanda: che questo giorno di primavera sia il primo giorno di una nuova primavera della cultura?”. ”Il teatro – rivendica Muti tra gli applausi – e’ nato in Italia, e in Italia la musica ha avuto un sviluppo fondamentale riconosciuto in tutto il mondo. Abbiamo una responsabilita’: dobbiamo mantenere alta una tradizione. Lo dobbiamo ai nostri predecessori, non vorrei che ci maledicessero in eterno”. Perche’, e’ il suo ragionamento, ”l’Italia e’ una terra amata per quello che ha rappresentato, rappresenta oggi e puo’ continuare a rappresentare per il futuro solo se manteniamo la nostra identita’, che e’ la nostra cultura”.
   E, nel rivendicare la sua italianita’ quando gira per il mondo a fare musica, al centro del luogo simbolo della politica italiana Muti si improvvisa pure lui politico; anche se, si schernisce, ”io non ne capisco niente, a malapena solo quattro note riesco a leggere”. ”Quando sono all’estero, non penso mai che Tiziano sia nato lassu’ e Antonello da Messina, invece sia nato laggiu’…”, sbotta, e lascia l’Emiciclo mentre dall’Aula e dalle tribune viene sommerso dagli applausi.

 

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