La forza delle cose. Conversazione con Alexander Stille

«Grillini e blogger? Forze nuove che possono anche peggiorare le cose»

L’enigma M5S e i gesti del nuovo Papa, l’esperienza Monti e Berlusconi come Terminator. Dopo aver pubblicato un (acclamatissimo) ritratto del padre Ugo,
gran corrispondente e poi direttore del Corriere, il figlio Alexander di nuovo a Roma
per qualche giorno vede uno strano Paese. Ma anche qualche speranza per il futuro del giornalismo.

di Clelia Verde

Papà amava molto usare i numeri, nei suoi articoli, per riassumere i punti chiave di un ragionamento: «Sono cinque i punti che dobbiamo tenere a mente nel riflettere sull’attuale politica estera dell’America vis-à-vis con la Russia». Oppure: «Ci sono tre ragioni per cui è estremamente

improbabile che il Congresso americano faccia questo o quest’altro». Ovviamente non era possibile (dal punto di vista oggettivo) spiegare perché i punti dovessero essere proprio cinque (e non quattro o sei) e le ragioni proprio tre (invece di due o quattro); ma questi elenchi numerati sembravano confermare tanto nello scrittore quanto nel lettore l’idea di un ordine imposto su un mondo caotico e pericoloso – esattamente come Spinoza (che mio padre ammirava molto) utilizzava la formula dell’assioma geometrico per dimostrare cose indimostrabili, come l’esistenza di Dio. (Alexander Stille, La forza delle cose, Garzanti, pagg 420, 24 euro)

 

Sono tre i punti di cui sarà bene tenere conto prima di addentrarsi in una conversazione conAlexander Stille, classe 1957, italo-americano, scrittore e saggista e giornalista figlio di giornalista.

1. Nel suo ultimo libro racconta il complicato matrimonio dei suoi genitori: Ugo Stille, ebreo italiano, nato a Mosca nel 1919, morto a New York nel 1995, lucido e severo intellettuale passato per una vita movimentata da migrante, inviato, corrispondente e direttore delCorriere della Sera ed Elizabeth Bogert, americana bianca anglosassone protestante di buona famiglia.

2. La forza delle cose. Scritto in inglese, è uscito lo scorso gennaio, in contemporanea in Italia e negli Stati Uniti (da Farrow, Strauss, Giroux). Molto positive le recensioni; negli Stati Uniti la autorevole e temutissima Michiko Kakutani del New York Times (una che fece sragionare Norman Mailer e inviperire Susan Sontag) gli ha riconosciuto «la verve narrativa del romanziere combinata con l’occhio impietoso del giornalista navigato», e in effetti ogni tessera del mosaico, prima ancora che raccontata attraverso impressioni ed emozioni non di rado dolorosamente intime, è ricercata e documentata meticolosamente combinando elementi di memoria, psicologia, storia del Novecento.

3. Anche in Italia se n’è già parlato molto e positivamente, ma quasi sempre (per antico riflesso giornalistico, forse) al fine di rievocare la figura di Ugo Stille. Ma con Alexander, osservatore privilegiato delle vicende italiane (di cui ha scritto su tutti i giornali che contano: il NYT, il New Yorker, la New York Review of Books) può essere utile anche cogliere qualche idea e impressione romana, incontrandolo dalle parti di Trinità dei Monti nel giorno in cui Bersani arranca fino al Quirinale come una sorta di Sisifo rassegnato a caricarsi sulle spalle il macigno dell’ingovernabilità, in un’Italia divisa, incerta, economicamente esanime, in cui la produttività boccheggia, i figli non ce la fanno più a sostenere il benessere prodotto (e in gran parte bruciato) dai padri, e i giornali agonizzano.

Come ritrova l’Italia, Mr Stille? Siamo veramente messi così male?

È un momento molto strano. La politica italiana lo è sempre stata, ma adesso lo è doppiamente. Il fenomeno Grillo non è da disprezzare ma da studiare. Resta il fatto, preoccupante, che negli ultimi 20 anni un paese così meraviglioso si sia inceppato nel continuare a creare nuove possibilità per le nuove generazioni. È diventata una società rigida, ossificata con una classe politica che invece di sfruttare le potenzialità del paese in qualche modo le ostacola; e in cui la competitività è venuta meno, lo scambio generazionale e la mobilità sociale sono diminuiti e questa è la realtà dominante; in parte a mio avviso ciò è dovuto alla paralisi indotta dal fenomeno Berlusconi, e all’incapacità di altre forze politiche che ha spianato la strada a un partito di protesta come il M5s, che vuole cambiare la situazione con proposte difficili da realizzare, ed è frutto di un’enorme sfiducia nelle istituzioni che potrebbe però anche peggiorare la situazione.

La parabola di Berlusconi non si è ancora esaurita?

Lui sorprende sempre nello spostare il limite verso il basso. Dal rimborso Imu come promessa elettorale per comprare voti, ai vari processi in fase di svolgimento con capi d’accusa allucinanti (penso al caso De Gregorio: spendere 3 milioni di euro per comprare il voto di un senatore per far cadere un governo). Quel che qui viene visto come un infortunio giudiziario e nulla più, rappresenta il sovvertimento dell’ordine democratico.

Anche gli occhiali da sole fanno la loro figura.

Bisogna riconoscere la sua inventiva. Uno che ha incassato tanti colpi come lui e non solo appare in pubblico e tiene comizi ma fa anche finta di aver governato meravigliosamente bisogna ammettere che ha una grande forza. Quando si è dimesso una amica americana mi ha mandato un sms dicendomi è morta la strega del mago di Oz, e io le ho risposto dicendo no, devi pensare al finale di Terminator con l’automa dato per distrutto che ancora esce dalle fiamme e si trascina anche con l’ultimo moncherino semicarbonizzato per raggiundere il suo obiettivo.

Vabbè, ma che ci fa ancora in giro Berlusconi?

Era chiaro che non avrebbe passato la mano al povero Alfano. Grande insicurezza e megalomania allo stesso tempo.

Che dire dell’esperienza con Mario Monti?

Ha avuto il compito ingrato di pulire la stalla che Berlusconi aveva lordato accumulando debito pubblico e ignorando ogni riforma. Il prof. ha fatto alcune cose necessarie ma spiacevoli, e forse ne ha sbagliate altre. Suo primo compito era quello di rassicurare i mercati finanziari che rischiavano di buttare l’Italia in bancarotta, ma forse ha sottovalutato, come fa sempre la classe politica italiana, il malessere del paese e il peso delle misure di austerità necessarie. Una tassa come l’imu è molto aggressiva: quasi tutti gli italiani possiedono casa quindi li colpisce letteralmente dove vivono.

Il prof. ha aspettato gli Italiani sotto casa, per colpire.

Poteva introdurre altre forme di tassazioni sulla ricchezza, magari terribili ma più progressive. D’altro canto, non avendo una maggioranza sua in parlamento, non ha potuto svolgere una politica economica coerente.

Che impressione le ha fatto Papa Francesco?

Mi hanno colpito una serie di segnali che ha mandato di maggiore apertura, segnali di discontinuità rispetto ai vecchi formalismi del Vaticano. Chissà se seguiranno cambiamenti di sostanza. Il fatto che si riferisca a se stesso come il vescovo di Roma e non come Papa può indicare il ritorno a una maggiore collegialità, il rinforzamento dei vescovi e della democrazia interna della Chiesa che è un richiamo al Concilio Vaticano di Giovanni XXIII; oppure può essere un mero formalismo. Ancora non è dato capirlo.

E i media? I giornali più che raccontare tutti questi cambiameni, sembrano subirli. E sono in crisi nera.

Siamo in mezzo a un cambiamento epocale, paragonabile soltanto all’invenzione della stampa. Forse anche per errore dei giornali si rendono le informazioni gratuite, e una società come Google ha succhiato tutti i profitti e la pubblicità. Certo, da un lato adesso c’è la possibilità per chiunque di essere un editore o un giornalista, apre il gioco a milioni di persone e rende istantaneamente disponibili informazioni dai giornali di tutto il mondo. Però toglie alcuni dei pilastri economici di un’industria che rimane importante: le notizie che sono state redatte e raccolte professionalmente hanno un certo valore.

Il buon giornalismo non si sostiene senza risorse.

Qualche anno fa il New York Times ha condotto una lunga inchiesta sui rapporti finanziari e sociali tra vari ex generali militari assunti come consulenti dei media americani durante la guerra in Iraq, una parata di ex generali e colonnelli che sfilavano sulle tv americane, assoldati come esperti. L’articolo ha dimostrato che molti di questi erano in rapporti finanziari con fornitori a vario titolo della Difesa Usa e del Pentagono. Ecco, questo reportage è stato veramente importante per farci capire un pezzo della nostra storia. E ha richiesto un anno di lavoro del giornalista, che durante quel periodo non ha fatto altro. Ora: Quanti giornali al mondo oggi sono in grado di sostenere un lavoro di questo genere?  Nessuno probabilmente e questo è grave. Il giornalismo della rete tende a privilegiare il commento, io stesso quando scrivo sul blog di Repubblica faccio il mio post, ed è solo un altro punto di vista, intelligente o stupido che sia.

Difficilmente un blogger va a scavare sotto la superficie delle cose.

E restano dubbi importanti: non c’è un controllo dei dati sulla rete. Un giornale è un ente legale, può dover rispondere di diffamazione e ha il dovere di setacciare notizie e controllarle, e questo è un valore civile: guidare il dibattito politico e ancorarlo a fatti accertati, e non lasciare a tutti la capacità di inventare qualsiasi cosa.

Il contrario del mondo gassoso di internet.

Un mondo dove ognuno vive in isolamento informatico nella sua nicchia e mentre i vecchi media gionali e tv giornalistiche hanno funzionato come una piazza, un’agorà per scambio di informazioni e idee quello che viviamo negli ultimi anni è una balcanizzazione mediatica: tutti urlano l’uno contro l’altro e non si capisce più nulla. Ma c’è una speranza finché i siti web di notizie più cliccati sono quelli delle testate giornalistiche tradizionali: per quanti difetti possano avere questi giornali, se c’è scritto che sono morte 23 persone è abbastanza probabile che ne siano morte 23. La gente si fida ancora, e questo fa ben sperare.

Ne La forza delle cose racconta che suo padre era un maniacale collezionista di libri. Avrebbe usato l’iPad oggi?

Veniva da una cultura ebraica dell’est Europa dove i libri sono l’unica cosa che conta, assieme alla cultura, poiché tutto nella vita può  esserti strappato. Aveva accumulato oltre 10.000 volumi e diventava molto ansioso se qualcuno ne prendeva uno in prestito. Era un modo per fare ordine in un mondo assolutamente imprevedibile.

Mr Stille, anche lei vive il mondo attraverso i libri, alla maniera di suo padre?

Ho un rapporto simile, per molti versi, con la carta. Ma da scrittore oggi dico: se posso incontrare più lettori attraverso la forma elettronica sono felice.

Come ha accolto la recensione della terribile Michiko Kakutani del New York Times?

Con un senso di grande sollievo: questa signora ha la pelle di tanti scrittori appesa al suo muro ed era molto difficile riuscire a non essere spellati vivi dalla sua penna tagliente. Andavo avanti nella lettura cercando il momento in cui le cose positive sarebbero finite e cominciate quelle negative, momento che, per fortuna, non è arrivato.

Anche il rapporto tra i suoi genitori può essere visto, come ha detto del libro Lolita, come una metafora del rapporto “appassionato, disperato e ambivalente” tra gli intellettuali europei che migravano negli Stati Uniti colti dall’ascesa del fascismo e del nazismo e la lingua e la cultura della classe media americana?

L’ho inteso così, nel senso che vedo il rapporto dei miei genitori come una microstoria di un movimento storico molto più grande e cioè di questa buona parte dell’Europa colta che viene cacciata dall’Europa negli anni ’20 ’30 e ’40 e trova ospitalità negli Stati Uniti ma anche tante difficoltà, incomprensione e antisemitismo. Mia madre è affascinata da questo mondo di profughi europei: cresciuta nel mondo borghese e un po’ bigotto del Midwest viene però iscritta a un istituto che si prefiggeva di ricreare la scuola Bauhaus a Chicago, idea geniale e folle che la porta a contatto con intellettuali, pittori, artisti che le apriranno il mondo del modernismo europeo mettendola in un certo senso sulla via di mio padre e rendendola suscettibile al suo fascino.

La forza delle cose che da il titolo al libro era per suo padre una forza misteriosa la cui logica interna determinava l’esito ultimo degli eventi: ci crede anche lei?

I protagonisti di questa storia, i miei genitori e i miei nonni, sono persone travolte dalla storia che hanno spesso agito senza sapere cosa facessero e perché. Uso questa espressione di mio padre anche in modo ironico poiché nessuno dei personaggi del libro era padrone del proprio destino, anzi. La famiglia di mio padre, per esempio, è stata sradicata, profughi due volte, prima dalla Russia zarista e poi dal fascismo; per le loro paure i miei nonni nascondono il fatto di essere ebrei ai propri figli i quali poi scoprono con un certo trauma di essere ebrei nel mezzo degli anni ’30 in Europa, scoperta per nulla felice.

Avrebbe raccontato la storia della sua famiglia se la vita di Ugo Stille non fosse stata leggendaria? Quando ha capito che la vita dei suoi genitori poteva avere un valore che non fosse personale e familiare?

Sono cresciuto in America dove mio padre era uno sconosciuto. La maggior parte del libro segue la sua vita privata: quello che mi colpiva da ragazzo era il fatto che non ci avesse mai portato in Italia, mai insegnato l’italiano, mai parlato del suo passato e mai detto di essere ebreo. E’ stato un processo lungo e ho  aspettato molto prima di avvicinare un editore per questo nuovo libro perché volevo scriverne una buona parte e convincermi che poteva essere una storia con dei personaggi d’interesse universale, persone con le quali qualche lettore volesse trascorrere del tempo.

C’è differenza tra scrivere una storia intima come questa e un saggio politico che la espone sui media a ogni sorta di rappresaglia?

Ogni tipo di libro ha i suoi rischi: provo sempre una sensazione di grande vulnerabilità quando un libro esce dal mio pc e diventa proprietà di chiunque voglia comprarlo. In questo caso sembro meno esposto ma lo sono in realtà personalmente, potrebbe venir fuori un ritratto di me che non piace al lettore, potrei non piacere come persona. Tutti i miei libri hanno comunque un forte elemento narrativo anche se in genere i libri di saggistica, con mio dispiacere, vengono giudicati sulla base del materiale che contengono e non sull’esperienza narrativa che cerco di creare per il lettore. Anche gli altri miei libri  sono stati scritti come dei romanzi perché c’è un percorso psicologico ed emotivo che la narrazione desidera creare: vorrei che il lettore sperimentasse ogni mio libro in questo senso.

Martedì 26 marzo 2013. Riproduzione riservata.

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