Fini dopo la sconfitta

 

”E perche’ trattare? Noi da oggi siamo una forza d’opposizione”. Gianfranco Fini lascia Montecitorio in una serata gelida e a suoi spiega che, dopo lo show down del 14, la volonta’ di girare pagina non e’ solo di Silvio Berlusconi, che ha detto di aver chiuso con lui e con Fli. Il patto con Casini per ora regge e questo rende un po’ piu’ lieve l’animo del presidente della Camera (che non intende dimettersi) dopo la doppia sconfitta. Berlusconi non e’ stato sfiduciato, tre finiani hanno determinato questo risultato: Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini e Silvano Moffa. 
   E ad amareggiare e rendere incredulo il leader Fli e’ proprio il ‘tradimento’ di Moffa, che per ore il giorno prima della fiducia aveva tenuto in piedi la mediazione con il premier e ancora nella mattinata si spendeva telefonando alla Polidori per convincerla a votare la sfiducia.’Non mi spiego come sia potuto succedere, non ci posso credere. Almeno poteva dirlo prima”, non si rassegna Fini pensando a Moffa, che fino a notte fonda aveva illustrato il suo documento ai finiani riuniti a Farefuturo e aveva portato Fini – per tenere insieme il gruppo ed evitare che le colombe se ne volassero via – ad accettare la pesante ipoteca di una esclusione di governi terzopolisti o di unita’ nazionale, in caso di caduta del premier.  Le cose pero’ hanno preso un’altra piega.

 E Fini ci mette poco, per l’esattezza i 35 minuti che passano dal voto alla sua nota di commento, ad ammettere la sconfitta. ”La vittoria numerica di Berlusconi e’ evidente quanto la nostra sconfitta, resa ancor piu’ dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla via di Damasco di tre esponenti di Futuro e Liberta’. Che Berlusconi non possa dire di aver vinto anche in termini politici sara’ chiaro in poche settimane”, e’ lo stringato commento del presidente della Camera, coperto di insulti dai deputati di Pdl e Lega (”ora dimettiti, coglionazzo”), mentre lascia l’Aula.
   Moffa si dilegua dunque sottobraccio all’ex An Amedeo Laboccetta, lasciando l’aula durante la seconda chiama invece di votare la sfiducia, come aveva assicurato di voler fare in un comunicato distribuito ai giornalisti nel quale chiedeva le dimissioni di Bocchino. E’ proprio salendo ai piani nobili di Montecitorio per consegnare la richiesta di dimissioni nello studio del leader Fli (non si capisce poi perche’, visto che Fini presiedeva in Aula) che Moffa fa perdere le tracce di se’. Si rimaterializza nel primo pomeriggio, quando Fini e’ nel suo appartamento insieme a tutti i suoi a riflettere sulla batosta,amareggiato ma in un certo qual modo anche sollevato, dall’idea di poter fare ora opposizione senza piu’ piombo nelle ali. Il leader Fli si fa portare due grappe, fuma ancora una sigaretta e, a chi lo avverte dell’arrivo di Moffa al piano di sotto, risponde che non e’ il momento. ”Lo chiamero’, per capire, ma senza fretta…”, aggiunge calmo.
    Con i suoi Fini libera la tensione mangiando tramezzini e facendo battute. Ma si ragiona anche sui rapporti con l’Udc, che Fini sente saldi, e si guarda avanti promettendo battaglia. ”Ma non e’ che ora si fara’ ostruzionismo a prescindere – frena gli animi Fini -. Le cose fatte nell’interesse del Paese vanno sostenute”. Si parla di decreto rifiuti, riforma Gelmini, voto di sfiducia a Bondi e Calderoli, preparandosi dopo la sconfitta a nuove battaglie in Parlamento. E Fini si rilegge la stampa con
la frase dell’Enrico V di William Shakespeare, che proprio oggi Gianfranco Paglia gli ha donato. ”Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Dategli dei soldi perche’ acceleri la sua partenza, dato che non intendiamo morire in compagnia di quell’uomo. Non vogliamo morire con nessuno che abbia paura di morir con noi”. Proprio ora, che Moffa gli volta le spalle e chiede per giunta le sue dimissioni da
presidente della Camera.

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