AZIENDE ASSEDIATE DAL CEMENTO

Viaggio nell’ASI di Arzano, Casoria, Frattamaggiore.

Abusivismo edilizio e incuria: imprenditori in rivolta.

Forse è proprio qui l’origine dei toni sempre più aspri ed esasperati usati, in questi ultimi due anni, sfociati poi negli incidenti di venerdì  23 marzo sera in via Principe di Piemonte: “è stata guerra civile” mi scrive un sms il consigliere più votato di Casoria, Giovanni Del Prete, alle 23,04. Il Sindaco, il dr. Enzo Carfora, impegnato nell’Assemblea Nazionale del suo partito, API, mi chiama da Roma, la mattina dopo e mi chiede di organizzargli una conferenza stampa, dove, poi, il sabato pomeriggio, nel dare solidarietà ai consiglieri “aggrediti”, comunica alla stampa presente, le sue dimissioni per il lunedì mattina. Dimissioni di 20 gg. in attesa di una chiarificazione politica del quadro che ha vinto il ballottaggio contro il candidato delle liste civiche e dell’Udc, il dottore commercialista Massimo Iodice. Toni aspri ed esasperati anche quelli degli imprenditori meridionali contro politici ed amministratori. Una superstrada, l’asse mediano, che ha meno indicazioni di una pista nel deserto, copertoni e spazzatura sui bordi, un angosciante senso di abbandono e degrado di zone che sembra non abbiano mai conosciuto il senso estetico del bello, l’invisibilità

dello Stato, l’inesistenza di un punto di ristoro. Eppure proprio qui, nella periferia nord di Napoli, operano alcuni dei gioielli dell’industria campana che esportano prodotti e ricevono delegazioni da tutto il mondo.

 

Tremila addetti

Una zona, quella dell’ASI di Arzano, Casoria, Frattamaggiore, che si estende per 120 ettari, dove sono insediate le aziende con tremila dipendenti: alimentare, calzature, abbigliamento, telecomunicazioni, legno e vetro. Cioè, giusto per fare qualche nome, Seda, Kiton, Vulcanair, Ecocart, F.lli Gentile, Benedetti, Italconfezioni, Tecnam, Starlet scarpe, Starlack, Barba camicie, Desirèe, Riviera, Peluso calzature. L’Ipm di Paolo De Feo ha chiuso lasciando 100 persone disoccupate. Qui operano tra gli altri, l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato e il Presidente dell’Unione Industriali di Napoli Paolo Graziano (Magnaghi Aeronautica Spa) e   l’ex Tommaso Iavarone. Per non parlare dell’indotto e del sommerso su cui ha studiato a fondo il professor Luca Meldolesi. Un’area di grandi contraddizioni (c’è chi ha parlato di “Nord Est”), dove mai va dimenticato il suicidio del giovane disoccupato Giovanni Gemito e quello di Francesco Riccio, titolare della Serromeccanica. Un’area che registra anche 15 mila disoccupati ufficialmente iscritti alle liste di Collocamento (oltre alla forte preoccupazione per i dipendenti Alenia e quelli di IMI Sud). Gesti di resa finale provocati dalla stagnazione del settore lavoro ed occupazione. In questa area vivono ufficialmente 160 mila persone, una cifra superiore a quella di ciascun capoluogo campano (esclusa, ovviamente, Napoli) e i direttori degli stabilimenti sono diventati dei veri e propri esperti in abusivismo edilizio.

Inutili denunce.

Già, perché nonostante le ripetute denunce ufficiali dell’Unione Industriali, non passa giorno che su uno dei piccoli appezzamenti di terreno non vengano costruite le fondamenta di una casa abusiva. E, casa dopo casa, in questi ultimi trenta anni, si è radicalmente trasformato il territorio. Le prime industrie, insediate tra il 1962 e il 1963, precedentemente alla costituzione del Consorzio ASI, erano completamente circondate dal verde. Ora le costruzioni sono letteralmente a ridosso degli insediamenti industriali.

Spesso non c’è nemmeno una strada a dividere fabbriche e abitazioni. Si è creata una situazione paradossale: in una zona ritenuta a vocazione industriale sono ora, dopo i condoni a raffica di questi anni, le imprese a recitare il ruolo di intrusi e piovono denunce contro il rumore e lo smog. Solo dopo un aspro scontro, per esempio, è stato possibile ottenere il trasferimento del “mercato delle pulci” che prima era a ridosso dell’asse mediano e che adesso è stato trasformato in una specie di discarica. Nonostante questa situazione paradossale, l’equilibrio non è stato ancora raggiunto, anzi. Ci sono ancora terreni vergini e gli imprenditori temono che l’abusivismo li divori rapidamente proprio come ha fatto con il resto. E’ una guerra quotidiana, esasperante, quasi inutile.

C’è dunque il rischio concreto di nuove costruzioni ed è qui che si consuma un altro paradosso. Mentre un imprenditore deciso a creare una nuova azienda deve sottoporsi ad un fuoco di fila di permessi e lungaggini burocratiche, per costruire una casa abusiva basta una notte. Ed è così che la realtà anomala del giorno dopo è più forte di ogni programma, di ogni buona intenzione, di ogni esigenza produttiva. Fino a quando durerà?

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