Ad Alice nel paese delle meraviglie è andata decisamente meglio!

Costretta a camminare per i vicoli del centro storico di Casoria per raggiungere la meta del giorno, questa mattina, più del solito, ho avuto l’impressione di essere stata improvvisamente catapultata nel XVII secolo; in uno di quei “paesotti” descritti nei romanzi storici letti sui banchi di scuola.

Viuzze strette e trafficate, animate da gente che sembra non essersi ancora accorta del fluire del tempo. E così, un passo dopo l’altro, puff…inciampo nei soliti signorotti di contrada: il Don Rodrigo nostrano con la fedele Perpetua, il Griso e l’Azzeccagarbugli, la cui somma degli anni dà un totale di almeno 200 anni, confabulavano in cerchio studiando, probabilmente, nuove strategie per ottenere anche quest’anno un discreto raccolto.

 

Che tristezza fa a noi giovani questo paese di cera, che non ha un diavolo di niente da offrire. Fosse almeno semplice godere della vicinanza alla bella Napoli. Sì perché, se hai la sfiga di non essere motorizzato o automunito, corri il rischio di invecchiare ai piedi della fermata dell’autobus, laddove pure in Burkina Faso, iniziano ad attrezzarsi per le linee metropolitane.

Nel più “moderno” centro, invece, il salottino buono di Casoria – dove lo stereotipo da imitare è più simile a quello del brillante opinionista di spettacolo “so tutto io anche se non so niente”, o alla mancata show girl che, come ad Arcore, corre dal Silvio di turno perché la politica…sempre meglio che lavorare -, le cose non vanno meglio.

Beh, c’è qualche baretto qua e là e, oltre al fetore della monnezza, in genere nel tardo pomeriggio, dal corso ai “filangieri”, Casoria inizia a scimmiottare Amsterdam. Naturalmente, non perché vi hanno trapiantato un canale ma, piuttosto, perché all’inebriante odore di pattume si aggiunge anche quello fiutato di solito nei coffee shop della “Venezia del nord”.

Come si fa ad amare questo postaccio lasciato da tutti allo stato brado? Come può un trent’enne globalizzato, che con un low cost apre i suoi orizzonti alla civiltà, appassionarsi ad un territorio che, mentre il globo intero si trasforma e si evolve, sembra essere sempre uguale a se stesso, rifiutando e disprezzando qualunque accenno al progresso urbano, sociale e culturale? Mi auguro che coloro che risiedono qui, per volontà o necessità, la gente stufa marcia di tutto ciò, si riunisca presto per rivendicare quel senso civico smarrito. Che, finalmente, nasca quella voglia di ricostruire insieme i cocci. Altrimenti, davvero…si salvi chi può!

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